Venditore di fumo, l’imprescindibile utilità della “inutile” arte poetica
06 Dicembre 2022 17:55
La poesia nasce insieme all’uomo e alla parola, dal bisogno di raccontare, tramandare e non dimenticare. Il verso, con la sua musicalità, è lo strumento che più si è adeguato a questa richiesta, tanto che la figura del poeta, per quanto mutata ed evoluta, è giunta fino al nostro presente per raccontarlo ancora a modo proprio. Viene da domandarsi, già solo leggendo il titolo dell’opera, quale sia il ruolo del poeta oggi: è ancora un “immortalatore” del vero, una figura tramite tra il reale e il bello, o è al contrario un ciarlatano, un imbonitore di piazze il cui unico scopo è quello di propinare allo sprovveduto lettore un pugno di mosche, una manciata di niente dentro un pacchetto scintillante? Venditore di fumo, la nuova raccolta poetica di Riccardo Capua, pubblicata per il Gruppo Albatros il Filo, offre al lettore proprio un’interrogazione sull’essenza del poeta, del quale cogliamo la duplice natura sin dall’incipit dell’opera:
“Seduto, osservo i pensieri che affollano la mia coscienza.
Come i compagni, il primo giorno di scuola, si guardano
stupiti, ricercando un amico o un amore, scambiando
parole tenendosi per mano, cosi i miei pensieri
compongono frasi che raccontano storie di uomini e donne,
seduti in una sala d’aspetto, pazienti, in attesa del loro
momento per soffocare un dolore.
Ma poi, d’improvviso, mi domando se questo afflato
interessi a qualcuno, mentre io, nei miei panni di poeta
sbagliato, divento ricco al mercato dei venditori di fumo.”
Come un prestigiatore, in pochi versi Capua evoca immagini potenti e suggestive per lasciarle svanire pochi istanti dopo in uno sbuffo di vapore: in questo fare e disfare di odisseica memoria prende corpo la sua poesia. Uno stile, questo, che tende a rappresentare la caducità di una dimensione umana che pure tende all’infinito, ma che rimane sempre incagliata nella sua effimera finitezza. “Il titolo è una provocazione: la poesia sembra inutile, non serve per sopravvivere, per coprirsi dal freddo o spostarsi da un posto all’altro. Allora perché l’uomo deve creare la poesia?” domanda l’autore ai microfoni di #Librindiretta, il talk di approfondimento letterario in onda su ConoscereTV “La poesia è fondamentale perché consente di elevarsi, nel senso di poter guardare l’esistenza da un punto altro, più distante, così da renderla più comprensibile e accessibile”. Se Capua ne accetta e quasi vanta l’inutilità pratica – per come essa viene considerata dalla società dei consumi – allo stesso tempo afferma con forza quanto le arti, e la poesia tra tutte, siano l’elemento essenziale attraverso il quale potersi riconoscere umani.
In questo volume Capua si lascia andare all’osservazione più intima dell’animo umano attraverso una pluralità di temi e argomenti, talvolta universali, altre volte legati ad avvenimenti inaspettati e quasi epifanici. Il poeta, da osservatore silente, viene colto da meraviglia, non può fare altro che soffermarsi per poi tradurre in versi l’istantanea della costellazione emotiva suscitatagli da quel momento. Potremmo trovare una similitudine, in tal senso, con il concetto di Thaumazein socratico, ovvero la sensazione di sgomento misto a meraviglia che l’uomo prova di fronte all’ignoto, l’unico punto di partenza della filosofia. Per veicolare una tale complessità, l’autore sceglie di servirsi di uno stile solo apparentemente semplice: il lessico è immediato e suggestivo, le strofe sono in rima baciata o incrociata e seguono un ritmo che incatena una parola all’altra, in perfetta armonia. Attraverso questo espediente Capua si rivolge al pubblico più vasto, rendendo accessibile e soprattutto condivisibile un racconto fatto di passione e sentimenti, esperienze tragiche, momenti felici, richiami culturali e omaggi a personaggi della storia e dell’arte ampiamente riconosciuti in Italia e nel mondo.
Potremmo citare, per esempio, il componimento dedicato alla figura biblica della Prostituta di Babilonia: riconosciamo prima di tutto un incontro di mondi apparentemente distanti, quello della tradizione antica e quello moderno, tra i quali tuttavia l’autore svela l’intimo legame. Se la Prostituta è infatti il simbolo del potere umano che vuole sostituirsi a Dio, constatiamo che lo stesso sentimento è ormai intrinseco nell’uomo del mondo moderno, dominato dall’intelligenza artificiale e dal profiitto a tutti i costi. L’immagine diventa ancora più nefasta nelle parole con le quali l’autore introduce il testo: lo dedica alla tragedia del Mottarone, suggerendo dunque la sua attenzione al particolare, alla cronaca contemporanea che di questi tempi è figlia.
Allo stesso modo l’autore porge il suo omaggio a James Dean, icona ribelle di una gioventù definita “bruciata”, ma che in realtà non fa altro che ardere di sogni e speranze, di fantasie libere e selvagge, di amori travolgenti e delusioni cocenti dalle quali imparare. Come non menzionare, poi, la “Mamma Roma” che con riconoscenza evoca l’opera di Pasolini e si inchina allo sguardo fiero e maestoso di Anna Magnani? L’autore, romano di adozione, riconosce negli sguardi delle mamme della Capitale la stessa fermezza orgogliosa dell’attrice, tanto da immortalarli in un quadro gioioso, caotico e appassionato che tanto racconta di una Roma dalla bellezza contraddittoria ed eterna.
Riccardo Capua volge al mondo che lo circonda uno sguardo fiducioso e innamorato, vero leitmotiv della raccolta. L’amore acquisisce nella sua poetica infinite forme e declinazioni, si manifesta nello sguardo dell’amata, nei passi di un tango passionale, nelle tenerezze dei ragazzi e in un sentimento nuovo e ancora da scoprire, ma lo scorgiamo anche quando l’autore si rivolge alla natura, al Creato, alla magnificenza che soltanto la quotidianità è in grado di restituire. È affascinante veder mutare questo sentimento attraversando l’opera da un capo all’altro: possiamo scorgerne, infatti, la sua forma più terrena e quella più alta, che si concretizza nel divino, nella spiritualità che si dirama tra i versi e che trascende il terreno non per distaccarsene, ma per avvolgerlo.
Nel moto di allontanamento, utile all’osservazione della realtà da un altro punto di vista, si riconosce l’autore stesso: questo fattore si fa evidente nei suoi componimenti dedicati ai viaggi. Si tratta spesso di mete lontane e città caratteristiche, luoghi nei quali ricercare la libertà in un’avventura di sola andata, quasi a voler sfumare sé stessi e confondersi nel mondo, per smarrirsi e riscoprirsi parte del tutto. Una sincronia, questa, che si rifà ai postulati della fisica quantistica: non ci sorprende, in tal senso, che una delle dediche poetiche dell’autore sia rivolta addirittura al fisico Carlo Rovelli.
Al termine di questo sguardo sulla “commedia in technicolor della realtà”, come viene definita magistralmente dall’autore, l’illusione immaginifica del venditore di fumo si dissolve in un ultimo sbuffo improvviso. Certo, il lettore ormai ammaliato potrà sentirsi privo di riferimenti, ora che l’incantesimo è svanito. Capua, tuttavia, non ha in animo di abbandonarlo e si accomiata svelando l’obirttivo della sua prestigiazione: lasciare che per un istante cedessimo al fascino di un’idea, per rivivere mondi non frequentati da tempo, nei quali riscoprirci bambini, puri, meravigliati, infuocati di una sana ribellione. Forse quel fumo impalpabile, tanto svalutato, vale molto più di quanto pensiamo.
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