“Questo non è il Decamerone”: esplorazioni audaci dal lockdown
17 Maggio 2023 18:25
La pandemia da Covid-19 ha costretto il mondo intero a fermarsi, portando con sé un tipo di isolamento che molti non avevano mai sperimentato prima. L’idea di dover rimanere in casa per settimane, incapaci di prevedere quando tutto sarebbe tornato alla normalità, senza la possibilità di incontrare amici e familiari, ha portato tante persone a riflettere e guardarsi dentro, affidando le proprie emozioni alla pagina scritta, alle storie.
Impossibile, parlando di pandemia e di storie da raccontare, non collegare il lockdown con la cornice del Decameron: certo, nell’opera del Boccaccio l’isolamento dei protagonisti è volontario e dura soltanto dieci giorni, ma ci sono sorprendenti somiglianze tra le due situazioni. Il giovane scrittore Emanuele Marangon sceglie, nel suo romanzo d’esordio, di raccogliere il testimone del Certaldese, riprendendo alcuni canoni e al contempo rompendone con audacia lo schema.
L’opera “Questo non è il Decamerone”, pubblicata per Europa Edizioni, racconta, con un linguaggio in continua ricerca di forme e suoni nuovi, le ansie, le insicurezze, le paure che sono appartenute a moltissime persone nel periodo del lockdown, soprattutto ai più giovani. Tra surrealtà e iperrealismo, narrazione descrittiva e dialoghi in esplorazione delle sonorità, l’opera racchiude in sé una pluralità di mondi e suggestioni, da poter leggere tutte d’un fiato o da selezionare, in maniera antologica, lasciandosi ispirare dai titoli.
Protagonisti dei racconti di Marangon sono prevalentemente outsiders, i negletti dalla società che cercano, in ogni modo, di trovare la propria voce. Personaggi perlopiù ruvidi e spigolosi ai quali non è semplice avvicinarsi, a causa di un vissuto spesso amaro che pende su di essi come una spada di Damocle. Alcuni di essi hanno una visione tanto lucida e disillusa sulla realtà che scelgono volontariamente di starne ai margini, scegliendo di dettare le proprie regole del gioco. Potremmo dire che l’ispirazione principale dell’opera – nonostante la direzione suggerita dal titolo – sia piuttosto la durezza brutale e provocatoria di Bukowski, che ci permette di inquadrarla nella corrente del “realismo sporco”: una prosa tanto semplice e immediata quanto intensa e carica di emotività.
A tal proposito potremmo menzionare il quinto racconto, “Il dimenticato Michael De Angelis”. Il protagonista nominato nel titolo è un uomo schivo, liquidato con l’etichetta di “strano”. Cresciuto a pane e Bukowski, si mostra raramente in pubblico e quando lo fa ci tiene che tutti sappiano che lui è uno scrittore. Lasciato ai margini della società e dimenticato dopo il successo del suo primo libro, De Angelis vive del suo delirio di onnipotenza, sentendosi un Dio incompreso e considerando sé stesso uno dei migliori scrittori italiani di tutti i tempi. Il destino dello scrittore è di essere amato visceralmente per poi essere dimenticato in un battito di ciglia, senza che la sua assenza assuma alcun significato per quelli che un tempo erano stati i suoi fan, i lettori più accaniti. Come non rivedere, nella sua triste vicenda, la parabola della società dell’immagine e dei fenomeni di massa, nella quale le azioni più eccentriche vengono acclamate con violento trasporto per essere dimenticate e sostituite un istante dopo. Non rimane, per riportare la luce dei riflettori su di sé e tornare a essere “visti”, che produrre un contenuto ancora più eclatante, così da attirare di nuovo l’attenzione flebile di un pubblico famelico e annoiato. Il finale del racconto, con uno scioccante colpo di scena, sposta l’attenzione su un tipo di oblio diverso da quello immaginato e ancora più doloroso, che lasciamo però alla curiosità del lettore.
Nei quindici racconti che compongono “Questo non è il Decamerone”, pur essendo indipendenti gli uni dagli altri, è possibile individuare una certa continuità nella materia, nei temi e nel modo in cui questi vengono sviluppati. Sono perfettamente bilanciati il sarcasmo e l’amarezza, grazie ai quali anche gli eventi apparentemente meno rilevanti si trasformano in un’ottima occasione per scardinare gli equilibri della società e metterne in rilievo le brutture. “Il libro racconta una generazione profondamente insicura, che non si sente né adolescente né adulta, nonostante i traguardi raggiunti siano da adulti” spiega Emanuele Marangon ai microfoni di Se Scrivendo, il salotto letterario targato CaosFilm “nonostante i personaggi siano tutti personalità e persone diverse, sono tutte accomunate da questo stesso sentire”.
La generazione raccontata da Marangon si trova infatti in bilico sull’orlo dei trent’anni, alle prese con una società nella quale fa fatica a rispecchiarsi o a trovare una propria rappresentazione. È una generazione profondamente diversa dalla precedente, per mezzi, strumenti e aspirazioni, ma che continua nonostante tutto a sentirne il peso delle aspettative. Una continua sospensione, dunque, capace di provocare disorientamento e sconforto, ma al contempo reazioni forti, talvolta estreme. La spiccata critica sociale riporta alla memoria proprio l’opera del Boccaccio, nella quale il lettore entra in contatto con personaggi di ogni genere, dal nobile al borghese, dal mercante all’uomo del popolo. Lo stesso scrittore trecentesco riflette, nella sua opera, su come la paura e l’incertezza possano portare le persone a comportarsi in modo irrazionale e immorale, esplorando la corruzione, la lussuria e l’avidità che si manifestano in un momento di crisi. Allo stesso modo questi temi vengono posti in rilievo nell’opera di Marangon, traslati in un presente spigoloso e offuscato in cui sembra prevalere il lato più cupo dell’uomo.
Significativo, in questo senso, è il dodicesimo racconto, “Infernocrazia”. Il protagonista, catapultato in un inferno dal cielo rosso e dal sapore terroso e farinoso, incontra Caronte in persona. La durezza dei suoi modi fa rabbrividire, ma ancor più caustiche sono le parole del traghettatore infernale: negli ultimi settecento anni, da quando aveva solcato l’Acheronte insieme all’Alighieri, gli uomini sono cambiati profondamente, un anno dopo l’altro. “–E cos’è cambiato in settecento anni? – Che a voi è sempre importato di meno, anche dopo esservi resi conto che stavate finendo all’Inferno. – Di cosa ci è sempre fregato di meno? – Di tutto.” Non dunque una vera e propria intenzione di compiere il male, ma un’indolente passività che si manifesta con rassegnazione, priva di qualsiasi slancio, volontà o libertà di scelta.
Scenario d’elezione della narrazione di Marangon è Brescia, la città in cui l’autore vive e alla quale ha voluto dedicare la stessa opera, come massima fonte di ispirazione delle sue storie. Se in alcuni racconti essa rimane come un fondale o una musica di sottofondo, accennata o soltanto immaginata, nel racconto “Il mondo di oggi” è proprio lei la protagonista. Lontana dai riflettori delle metropoli, è la perfetta oasi di tranquillità nella quale rifugiarsi, nonostante il suo passato sia stato tutt’altro che sereno. I personaggi che incontreremo tra quelle vie sembrano stridere con il presente della città lombarda, uomini senza scrupoli ma dall’animo sensibile, che tanto ricordano i protagonisti di un film di Tarantino.
“Questo non è il Decamerone” si distingue per la sua audacia e originalità, che rompe gli schemi della narrativa classica per addentrarsi senza riserve in argomenti scomodi e sarcastiche considerazioni. Tra colpi di scena e quadri a tinte fosche, esplosioni di ironia e un linguaggio crudo e senza filtri, la prosa di Marangon è un ottimo esempio di come, pur senza avere una morale esplicita, la dimensione del racconto possa spingere il lettore a una più profonda riflessione su di sé e sul mondo, guardandosi dall’esterno in tutta la sua complessa umanità.
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