“La donna di coriandoli”, l’imperturbabile incedere delle vite difficili
28 Giugno 2023 14:09
“La donna di coriandoli” di Lavinia Gargiulo, pubblicata da Albatros, è una vicenda che si colloca in un passato non troppo distante, nella campagna sorrentina del secondo Dopoguerra; racconta di emozioni che anch’esse non risultano così lontane: di aspettative disilluse e sogni infranti, del costante peso del giudizio di una società mentalmente chiusa, vittima di se stessa e delle sue regole di condotta, mascherate dietro una falsa coltre di moralità, di donne chiuse in gabbie invisibili, che soltanto loro stesse possono percepire, prigioni di invidia, incomunicabilità e solitudine. Parla di ombre che offuscano la ragione e la speranza, proiettandosi da padre a figlio, da marito a moglie, contagiose come malattie.
Una storia vicina nel tempo che, raccontata con acuta profondità, risulta del tutto diversa dai racconti suoi coetanei che un ragazzo potrebbe ascoltare dai nonni: perché la penna di Lavinia Gargiulo scava in profondità nell’anima dei suoi personaggi, rivelandone i sogni più intimi, le profonde delusioni, delineando con precisione le sbarre della vita di cui sono prigionieri.
È una narrazione perfettamente consapevole, in grado di discernere con chiarezza cause e conseguenze delle vicende raccontate e di renderle evidenti anche al lettore, evocando personaggi complessi, sfaccettati e tanto credibili da chiedersi se l’autrice non abbia attinto da una storia reale. Ma se anche così fosse, risulta stupefacente come Lavinia Gargiulo sia stata in grado di descrivere così approfonditamente i personaggi di questa storia: seppure sia impossibile, sembra quasi che siano stati loro, di loro pugno, a mettere a nudo la propria anima su queste pagine, tanto è profonda l’indagine della narratrice sulle loro più profonde motivazioni.
È un romanzo velato di tristezza, intriso dell’oppressione patriarcale di cui le donne sono sempre state vittime e che tutt’oggi persiste laddove la ragione non abbia ancora fatto breccia. Sono proprio le donne di questo racconto a esserne le protagoniste, ma questo non significa una minor rilevanza narrativa dei personaggi maschili: anche loro vengono sottoposti alla lente di ingrandimento dell’autrice, che svela i loro moventi e le loro emozioni con la stessa efficacia con cui analizza le donne. Perché in questa storia niente viene lasciato in secondo piano: è come un flusso narrativo che procede inesorabile, né lento né affrettato, raccontando tutto ciò che tocca nei suoi dettagli, ogni persona, ogni luogo che sfiora viene suscitato vividamente dalle scorrevoli ed empatiche parole di Ludovica Gargiulo.
Lei ci mostra gli aspetti più profondi della vita di personaggi ordinari, semplici e allo stesso modo infinitamente complessi, come sono semplici i loro sogni, seppure spesso infranti, e complesse sono le conseguenze delle loro scelte, delle loro aspettative disattese e dell’amarezza che germoglia nel cuore di chi è vittima di se stesso e nessun altro può capire ciò che prova o aiutarlo in nessun modo.
È un romanzo in cui vittime e carnefici si confondono, assumendo entrambi i ruoli, immolandosi con le proprie mani, riversando le proprie colpe sugli altri e isolandosi nella loro amarezza che li svuota, trasformandoli in ombre, non più gli uomini e le donne che erano stati quando ancora avevano i loro semplici sogni, quella speranza che l’erosione ha reso cenere, lasciandoli vuoti.
Eppure, nonostante i suoi toni amari e spesso profondamente tristi, l’autrice riesce anche a individuare gli aspetti più limpidi di alcuni personaggi che in sé portano un seme di speranza, una promessa di serenità rivelata a tratti e adombrata spesso da tutto il resto: perché i personaggi di questa narrazione non sono mai del tutto limpidi o completamente torbidi, non bianchi e neri ma indefinitamente grigi; o meglio: ingrigiti. Alcuni si adombrano sempre più assumendo un tono sempre più scuro fino alla follia, oppure cinerei e affranti, sbiadiscono sempre più fino a sparire, non lasciando nient’altro che una manciata di coriandoli; altri invece resistono all’erosione, conservando un più vivido colore nel proprio spirito, portando una brezza di speranza quasi impercettibile, ma salvifica, non evidente come il lieto fine di una favola, eppure sempre presente: un bagliore che proietta quel poco di luce che basta per intravedere una via che serpeggia verso un futuro più roseo.
Un’opera che commuove, tocca argomenti delicati e attuali col rispetto di una narrazione attenta, scevra di vizi stilistici o esagerazioni, attenta a ogni particolare, che scava con semplicità nelle emozioni dei propri personaggi come suscita inevitabilmente quelle dei suoi lettori. Demarca il confine tra i sogni puerili e la cruda realtà con parole trasparenti, rivelando il cuore pulsante dei protagonisti di questa storia, facendo di loro un perfetto esempio di umanità, nei loro pregi e difetti, carichi del peso delle loro colpe, affrontando o fuggendo dalle proprie responsabilità, essi si muovono nella trama sotto il vigile sguardo dell’autrice che gradualmente adatta la sua voce allo stato d’animo dei protagonisti delle vicende, cambiando impercettibilmente linguaggio per suscitare inconsciamente immagini sempre più vivide e reali, concedendosi talvolta un tono più evocativo, quasi esoterico, per spiegare metaforicamente sensazioni e presentimenti eterei che le parole a volte non riescono a catturare.
“Quando era con suo padre era soprattutto concentrata a osservare di sottecchi l’ombra che lo accompagnava. A differenza delle altre creature che popolavano la sua vita quotidiana, questa era cattiva e nera. Lo scrutava attentamente quando la sera, rientrato dal lavoro, si sedeva un po’ vicino al fuoco per riscaldarsi e raccogliere forse i suoi pensieri prima di cena. Piegato su se stesso si prendeva la testa fra le mani e sospirava e bestemmiava mentre quell’ombra cattiva sembrava diventare più grande, come se si nutrisse dell’emozione del suo ospite, della sua stanchezza, di quei pochi progetti e di quei pochi sogni che lui aveva avuto, tanto tempo fa, e che non si sarebbero mai realizzati”. Le parole di Lavinia Gargiulo echeggiano cristalline nelle profondità che raggiungono, nel silenzioso mondo in cui ci proietta la sua opera, dove i dialoghi sono ben pochi e prevalgono i pensieri e i sentimenti su tutto il resto: perché il fardello che una persona si porta dentro raramente può essere confidato. “La donna dei coriandoli” racconta queste realtà incomunicabili come fosse un diario affamato di storie che abbia raccolto nelle sue pagine anni e anni di esperienze, separando la realtà dalle bugie, per poi offrire tutto ai suoi lettori ordinatamente, evidenziando con chiarezza le contaminazioni tra il giusto e l’ingiusto, tra le illusioni e i sogni. Colpevoli, vittime, peccatori impuniti e penitenti, ognuno porta dentro di sé tutto quanto, sia la colpa che l’innocenza, artefice e burattino della sua sorte che si svolge tra le pagine di quest’opera emozionante e sincera.
“Anna aveva rallentato il passo lasciando che una pace improvvisa e inaspettata si posasse al centro del suo cuore e trafitta da questo nuovo sentimento aveva finalmente accettato tutto, tutta la sua vita, tutta la sua sofferenze e aveva deciso che non si sarebbe più battuta. Del passato, dei sacrifici inutili e degli anni sprecati non rimaneva ormai che cenere e sotto la cenere una piccola fiammella di malinconia, un sentimento vago di sperpero forse, ma più nessun dolore”.
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