Colombi (UILPA): «Necessario far compiere un salto di qualità al sistema delle relazioni sindacali
31 Luglio 2023 09:48
Il grande esodo estivo è alle porte e prima della chiusura delle attività produttive cerchiamo di mettere a fuoco una serie di temi riguardanti la Pubblica Amministrazione italiana.
Temi che saranno all’ordine del giorno al rientro dalle vacanze. Allo scopo abbiamo raccolto l’opinione di Sandro Colombi, Segretario generale della UIL Pubblica Amministrazione.
Segretario, il governo dichiara di volersi impegnare nel reperimento di risorse per il rinnovo dei CCNL scaduti, ma si guarda bene dal parlare di cifre. Cosa pensa che accadrà?
Sono ottimista per natura. Ma essere ottimista non significa vivere fuori dalla realtà. Penso che il ministro Zangrillo sia sincero quando afferma di voler verificare con i suoi colleghi di governo la possibilità di stanziare nella legge di bilancio almeno una prima tranche di risorse per i rinnovi del triennio 2022-2024. Ma, nello stesso tempo, in questa fase vedo poca attenzione da parte della politica verso i problemi della P.A. e del lavoro pubblico. Servirebbe una netta sterzata rispetto a quanto stabilito ad aprile scorso nel DEF relativamente alle previsioni di spesa per le retribuzioni del personale del settore pubblico.
Ma siamo alla fine di luglio e all’orizzonte non sembrano profilarsi azioni concrete, mentre gli stipendi dei dipendenti pubblici perdono sempre più potere d’acquisto.
Purtroppo è così. Nelle Funzioni Centrali abbiamo chiuso le trattative del precedente CCNL a dicembre 2021, con incrementi calcolati in base a un’inflazione che viaggiava intorno al 2%. Pochi giorni fa l’ISTAT, durante un’audizione parlamentare, ha dichiarato che solo per compensare l’impennata dell’inflazione, al netto dei prodotti energetici, il triennio 2022-2024 dovrebbe portare al settore pubblico un incremento retributivo del 16,1%. Io credo che sia arrivato il momento di sedersi al tavolo con il governo e cominciare a parlare di questi argomenti. L’ultima cosa che vorrei vedere è uno spot natalizio con una nuova una-tantum a scadenza annuale di 30-40 euro lordi pro capite. Non si risolvono i problemi del lavoro pubblico a colpi di elemosine di Stato.
Molti obiettivi del PNRR non sono stati ancora raggiunti. Ce la faremo all’ultimo momento o perderemo finanziamenti?
Col passare del tempo il PNRR si sta rivelando per quello che realmente è: un insieme disorganico e alquanto velleitario di progetti la cui realizzazione grava sulle spalle di strutture pubbliche decimate da anni di progressiva dismissione. Io non credo che perderemo i finanziamenti europei, ma se ciò dovesse accadere la responsabilità ricadrebbe totalmente sulle irresponsabili politiche neo-liberiste degli ultimi vent’anni. Politiche attuate da governi di tutti i colori e che hanno saccheggiato la P.A. col preciso scopo di trasferire enormi risorse dalle mani pubbliche a quelle private. Risultati? Servizi pubblici sempre più scadenti, disoccupazione, precariato e un’élite sempre più ricca. In poche parole, le privatizzazioni sono state un completo fallimento. Per dirla in termini politici, il progressivo ritiro dello Stato dall’economia messo in atto da oltre trent’anni a questa parte ha determinato un indebolimento strutturale del nostro Paese. È ora che lo Stato si riprenda quello che è suo: basta con le privatizzazioni.
Al di là dei ritardi sulla realizzazione dei singoli progetti, il PNRR è anche e soprattutto un grande piano di modernizzazione della P.A. italiana. Qual è la sua opinione su questo aspetto?
È molto semplice: la modernizzazione a cui lei fa cenno non esiste. Le strutture della P.A. impegnate sul PNRR stanno andando avanti con le risorse umane e strumentali che già avevano e che erano – ma lo sapevamo sin dall’inizio – largamente insufficienti. Le migliaia di nuove assunzioni decise in fretta e furia negli ultimi due anni, spesso ricorrendo a procedure iper-semplificate piuttosto discutibili, non bastano nemmeno a sostituire il personale che continua a lasciare il servizio per raggiungimento dei requisiti pensionistici. Le testimonianze che stiamo raccogliendo sul territorio dai nostri quadri regionali sono impressionanti. Molte amministrazioni sono letteralmente al collasso.
Dunque lei non vede all’orizzonte nessuna possibilità mdi modernizzazione della P.A.
Guardi, al di là di parole così cariche di significato come appunto modernizzazione, il problema vero è che abbiamo una classe di decisori politici che non conoscono la macchina dello Stato, ma che purtroppo la guidano. Il vero e proprio atto di superbia – mi passi questa espressione catechistica – commesso dalla politica è quello di non voler ascoltare coloro che la macchina dello Stato la fanno funzionare davvero: i lavoratori. Escludere i lavoratori dal confronto sulla modernizzazione della P.A. è il peccato capitale della politica italiana. A pagarlo, purtroppo, sono gli stessi lavoratori e i cittadini-utenti. Può darsi che questa situazione si trascini ancora per anni. Il che ci porrà, ancora più di oggi, in una condizione di minorità rispetto alle grandi trasformazioni che investono l’intero pianeta. Nessun Paese è forte senza una pubblica amministrazione forte. E le dirò di più: nessun Paese è forte senza uno Stato che intervenga nell’economia nel nome dell’interesse nazionale e non di conventicole di milionari.
Dalle interviste ai segretari regionali Uilpa che stiamo conducendo da un mese a questa parte arrivano notizie sul peggioramento dei rapporti fra rappresentanze sindacali e amministrazioni in sede decentrata. Che cosa può fare il sindacato per recuperare maggiore peso contrattuale nei luoghi di lavoro?
Nelle amministrazioni rapporti tra sindacato e controparti pubbliche sono peggiorati a tutti i livelli. Complici l’invadenza della politica e la mediocrità di una classe dirigente che, specialmente in sede decentrata, non ha le competenze e la cultura necessarie per sostenere un corretto sistema di relazioni sindacali. A questa carenza di cultura negoziale si può rispondere in un solo modo: rafforzando a tutto campo la presenza del sindacato nei luoghi di lavoro.
Quindi il sindacato insiste nel chiedere un sistema partecipativo per prendere parte alle scelte che hanno ricadute sui lavoratori.
Sì, ma c’è un problema che va risolto. Il sistema partecipativo, anche laddove viene applicato dalle nostre controparti, non riesce a incidere a fondo sulle decisioni finali che vengono adottate dalle amministrazioni. Le quali, grazie a un complesso di norme a loro favorevoli, si sentono libere di non tenere conto dei suggerimenti e delle richieste del sindacato. E penso ai piani dei fabbisogni, alla digitalizzazione dei processi lavorativi, ai piani della formazione, agli assetti organizzativi degli uffici e così via. Bene, è arrivato il momento di compiere un ulteriore salto di qualità. Occorre passare a una fase più matura di condivisione attiva delle scelte.
Ma il passaggio alla fase più matura delle relazioni sindacali comporta di fatto forzare la mano alle controparti. E come si fa?
Si fa entrando in profondità nei meccanismi decisionali delle amministrazioni nelle sedi di lavoro, denunciando tutto quello che non va, senza paura di scoperchiare qualche pentola: bilanci, atti e documenti amministrativi, consulenze esterne, forniture di materiali, gestione delle risorse umane, contratti di manutenzione e così via. Insomma un lavoro di analisi e verifica a tutto campo. Credo che solo così acquisteremo agli occhi dei nostri datori di lavoro l’autorevolezza e il rispetto che spesso ci vengono negati. Saremo in grado di farlo? Sì, e sono proprio le combattive risposte dei nostri quadri sul territorio a darmi questa certezza.
Roma, 31 luglio 2023
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