“Le cose che perdi”, la danza emozionale di un uomo nel labirinto delle passioni
31 Agosto 2023 18:08
Passioni, segreti, perdite, i tormenti di un uomo animato dall’ambizione e scisso tra vite diverse.
Uno scrittore di successo che si trova a fare i conti con una vita sentimentale intricata e controversa, in cui gli amori e le assenze si aggrovigliano in un intricato gioco emozionale. Le esperienze amorose con le donne della sua vita si intrecciano in una danza delicata e pericolosa, rivelando le fragilità di un’anima frammentata, in continua tensione.
“Le cose che perdi”, il nuovo romanzo di Stefano Cannistrà, pubblicato per Europa Edizioni, disegna con acutezza il viaggio nella psiche di un uomo che potrebbe essere tacciato, da uno sguardo superficiale, di narcisismo. Paolo, che è riuscito a guadagnarsi un posto nell’Olimpo degli scrittori di successo, non pago della sua brillante vita professionale sceglie di portare avanti allo stesso tempo tre relazioni sentimentali, con sua moglie e con altre due donne che per lui ricoprono un ruolo di grande importanza. Nella sua leggerezza, Paolo seduce senza inganni, affascina per la genuinità di un sentimento che prova con forza nei confronti delle donne che desidera.
Al centro della sua vita c’è Valeria, la moglie con cui condivide una lunga storia d’amore, ma anche una distanza emotiva che sembra ormai insormontabile. Per lei, la donna con cui ha scelto di legarsi per tutta la vita, l’amore è reale, concreto, ma nonostante ciò Paolo non riesce a resistere al richiamo delle altre donne che popolano la sua esistenza. Donne che tiene vicine o allontana al ritmo dei suoi impegni letterari, mentendo ove necessario per terminare il prossimo capitolo del suo nuovo romanzo. Patrizia è l’amante tormentata che lo tiene prigioniero nel gioco dell’amore, poi c’è Veronica, la complice intellettuale, l’editor della sua casa editrice. Di ciascuna di queste donne Paolo offre un ritratto affascinante e affascinato, esaltando ovunque possibile i tratti di influenza che hanno su di lui. Nei suoi ricordi tratteggia istanti del passato, quadri di dolcezza e passione dai quali emergono gesti, parole, movimenti che chiunque – ma non uno scrittore – lascerebbe scivolare nell’oblio della dimenticanza.
L’epicentro della narrazione non è nessuna di queste donne, ma una quarta: Priscilla, la figlia altera e distaccata che mal sopporta la concezione della vita e dell’amore del padre. È un personaggio presente, quasi ingombrante nel silenzio che sprofonda nei suoi libri, tanto diverso quanto speculare a quello del padre. L’analisi della relazione padre-figlia commuove e lascia riflettere, come testimoni del tentativo – a suo parere “maldestro” – di Paolo di essere un buon padre e nella schietta durezza, dall’altra parte, che la giovane mostra nei confronti del genitore.
Di un personaggio contrastato come Paolo ci affascina soprattutto il dramma interiore, il tormento di un senso di colpa che inizia a logorarlo, insieme ai ricordi. Troppo a lungo aveva rimandato l’appuntamento con sé stesso, sostituendo la voce che dentro di sé cercava di convincerlo a fermarsi e riflettere con quelle delle donne di cui si era a lungo circondato: “Gli capitava solo ora, e per la prima volta, di non guardare più gli amori della sua vita con la scintilla di fuoco che imprimeva allo sguardo, alle parole e ai gesti quando si rivolgeva a Valeria, quando parlava del proprio mondo con Patrizia, quando confidava i suoi segreti a Veronica, quando si illudeva di insegnare qualcosa a Priscilla. Ora li guardava, e quella scintilla non la sentiva più. I sensi di colpa avevano iniziato a corroderlo, come i ricordi. Per un momento pensò che, in realtà, era sempre stato dalla parte sbagliata della sua stessa storia. E per un momento ancora, avvertì il desiderio di trasparenza, di chiarezza, di leggerezza emotiva: una sola donna, un solo amore, per la vita; una figlia da non trascurare, e un padre di cui potesse essere orgogliosa”, leggiamo in un estratto particolarmente significativo del libro.
L’intero romanzo non gira tuttavia attorno alla presenza di Paolo, quanto alla sua assenza: al vuoto che rimane quando esce, senza preavviso – non sveleremo altro ai nostri lettori, in questa sede – dalle vite delle sue donne. Una manciata di esistenze lasciate in balìa di sé stesse, private simultaneamente della solidità precaria di un uomo che tanto aveva celato di sé, pur donandosi interamente e sinceramente. A queste donne spetterà di riannodare i fili dei ricordi e riconsiderare quei rapporti d’amore, per trovare una nuova stabilità e andare avanti, trovando modi nuovi di esistere.
Non bisogna lasciarsi ingannare: tutte le donne che popolano questo libro hanno già un baricentro solido che le sostiene dall’interno. Sono forti della loro carriera, della loro personalità, ma ugualmente il senso di perdita e abbandono lasciato da Paolo le costringe a mettersi in discussione, a fare i conti con il passato e con sé stesse. La lettera che l’uomo lascia alla figlia, definita da lui stesso “vagabonda”, errante senza una meta “tra i segreti e i sentimenti di una vita sicuramente disordinata”, darà vita a risvolti importantissimi della narrazione. Le parole di Paolo affidate all’inchiostro, unico strumento attraverso il quale riuscisse realmente a sciogliere il filo dei suoi pensieri, diventano la testimonianza della sua intima riflessione sulle relazioni e sugli affetti.
Nella sua ultima fatica letteraria, Cannistrà esplora le complesse dinamiche dei personaggi con una scrittura vivida ed evocativa, conducendo i lettori nelle loro vite e permettendo, attraverso un esercizio di mimesi, che si sentano parte integrante delle loro storie. I dialoghi talvolte taglienti danno voce alle emozioni più profonde di ciascuno degli attori in causa, accompagnate sempre da un velo di malinconia. “Le cose che perdi” è una partitura di emozioni che cattura e avvolge in una lettura immersiva. I grandi temi dell’amore, della perdita e del perdono, che l’autore sceglie di affrontare – e sfidare – sono esplorati con maestria, e i personaggi prendono vita in tutta la loro tridimensionalità, perennemente contrastata tra luci e ombre. Paolo e le sue donne non sono soltanto personaggi, ma una rappresentazione viva delle complessità dell’amore e delle relazioni umane.
Lo stile a tratti poetico dell’autore riesce a sorprendere e affascinare con i suoi slanci di pura passione – quasi rimanessimo anche noi, come lettori, avvinti dalla personalità magnetica e seducente di Paolo, al pari delle sue donne. Le pause descrittive, la rappresentazione di mondi interiori che dopo un lungo travaglio riescono finalmente a comunicare, sono momenti di puro godimento letterario da assaporare con lentezza. Il romanzo affronta anche temi difficili, come la violenza di genere e la pandemia, profondamente rilevanti e urgenti. Nel suo non tralasciare questi temi di profonda attualità l’autore dimostra la sua abilità nel districarsi tra il ricordo e la vita, tra la meditazione e l’azione: in questo l’opera di Cannistrà è un romanzo che si racconta al tempo presente.
“Le cose che perdi” si chiude in una placida serenata notturna, nutrita di splendidi riferimenti musicali. Un’ultima riflessione, che questa volta abbandona i toni febbrili di certi tormenti e qui finalmente si distende, restituendo la pace. È un viaggio nella profondità dell’animo umano, della sua complessità che esiste soltanto in ascolto di sé e dell’altro da sé. Un’opera emozionante e introspettiva, da assaporare fino all’ultimo dolce e struggente sussurro.
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