“Una seconda vita”, viaggio psichedelico nelle profondità dell’animo umano
29 Settembre 2023 17:12
Negli anni Sessanta nasceva una corrente musicale e artistica capace di arrivare direttamente alla psiche degli suoi fruitori.
È un mondo fatto a volte di eccessi e stravaganze, ma animato da un profondo senso di connessione con le persone, la natura e l’universo, ardente di curiosità e desiderio di evasione. La psichedelia chiedeva di indagare l’incoscio, di comunicare a un livello più profondo, di realizzare un’esperienza artistica che superasse i confini del rock e parlasse direttamente all’anima in attesa di rinascita.
L’opera letteraria “Una seconda Vita” di Gabriele Finotti, pubblicata per Europa Edizioni, rappresenta un’epica incursione psichedelica nell’animo umano, una narrazione fuori dagli schemi della ricerca di significato e rinascita. Prosecuzione naturale del libro del 2008 “Caosduemila” dello stesso autore, è una riflessione continua sulla vita umana, che pone l’accento sulla possibilità di avere una seconda opportunità.
L’opera si compone di novantasei poesie che costituiscono il nucleo centrale della seconda vita narrata dall’autore, a partire dalla numero settanta (per sancire il legame con l’opera precedente, che si interrompe al sessantanovesimo componimento). Le parole fiuiscono come un fiume in piena, mescolando il narrativo e il visionario. Questo stile letterario, che l’autore stesso definisce sciamanico e intuitivo, trasporta il lettore in un percorso di profonda esplorazione della rinascita e del desiderio di trasformazione.
Non una classica raccolta di poesie, ma un’opera letteraria e poetica che abbraccia il progetto musicale dell’autore con il suo nuovo gruppo, i Desert Twelve. La connessione tra musica e letteratura fa risaltare la complessità dell’opera, che sembra cercare di unire l’anima e la materia attraverso le diverse forme d’arte.
Protagonista della raccolta è l’Uomo dalle Dodici Dita, il custode della Gabbia spazio-vibrazionale. È un personaggio temibile e affascinante, il demiurgo di un universo complesso, sfaccettato e compresso in un nucleo infinitamente piccolo, quindi immenso. È uomo, ma al contempo è donna, è il passato, il presente e il futuro che si contaminano e si fondono. “Il suo pensiero è la rinascita stessa dell’umanità. Egli o ella non sa di essere così importante, come pochi altri eletti, poiché è costretto a camminare scalzo sulla deformazione terrestre futura, senza incontrare nessuno, per maledizione della prima vita, che non ricorda più, dopo la sua prima e ultima morte. La sua mente vede nel passato della nostra civiltà e la sua barba non cresce così velocemente come dovrebbe, perché il tempo e le parole lo hanno abbandonato e non coincidono più fra esse, così da renderlo uomo e donna allo stesso tempo. Egli è parallelo e contrario allo stesso nostro futuro. Egli non ricorda più il suo nome, o almeno lo ricorda a tratti”, leggiamo al capitolo zero dell’opera di Finotti.
“Una seconda vita” è un viaggio intriso di simbolismo, evocazioni e richiami. Un’opera che valica i confini del reale per indagare il vero, che scende a patti con l’universo perché l’anima trovi finalmente pace. Il protagonista si muove senza sosta attraverso un deserto torrido e arido – che sia una proiezione del futuro distopico al quale stiamo andando incontro? – accompagnato da un serpente e una farfalla che “come elettroni impazziti, non si fermano mai nel movimento continuo e rotatorio fra loro”. Questo simbolo potente, reso graficamente nell’immagine di copertina disegnata da Rosario Scrivano, è la metafora degli opposti, delle essenze che popolano l’esistenza, la leggerezza e la furia che incarnano uno yin e yang dalle influenze sciamaniche. Sono elementi che diventano metafore della nostra ricerca interiore e del costante movimento attraverso la vita. Il portagonista stesso rappresenta la possibilità di una rinascita dell’umanità, una seconda opportunità per redimere gli errori del passato.
Durante il suo lungo viaggio, il protagonista si confronta con il suo passato e il suo futuro, riflettendo sulla fallibile mediocrità dell’umano e sulla necessità di una rinascita. L’esperienza nella Gabbia spazio-vibrazionale aggiunge un seme di inquietudine, un elemento di mistero e magia che avvolge i sensi e le percezioni. Qui il tempo e lo spazio si deformano, portando il protagonista e i lettori, suoi compagni di viaggio, a interrogarsi sulla stessa natura della realtà.
Nulla, in questa raccolta, è lasciato al caso: sessantanove i componimenti di Caosduemila, novantasei quelli di Una seconda vita; dodici i capitoli come dodici sono le dita del custode della Gabbia spazio-vibrazionale, centosessantacinque i componimenti in totale, che chiudono il libro con un enigmatico 165/12, che richiama l’attenzione sul legame tra l’umanità e l’universo.
In questo meccanismo perfetto e armonico, tuttavia, è persino contemplato l’errore: tra il capitolo undici e il dodici rimaniamo spiazzati da un dislocato “sottocapitolo cinque”. Impossibile non rimanere colpiti dal componimento “Un Gorilla che piange”, un sogno malinconico e sbiadito vestito da realtà, un gorilla che desidera somigliare a un uomo, mentre non è altro che un uomo vestito da gorilla.
Ispirazione psichedelica, musicalmente ritmata e rivoluzionaria, ma anche filosofica e scientifica: Gabriele Finotti, farmacista con formazione classica e studi scientifici alle spalle, vive e porta nei suoi scritti il conflitto tra il sogno e la realtà. Questa dualità tra scienza e arte emerge dall’opera, suggerendo una profonda riflessione sull’equilibrio tra materia e spirito. Il componimento 119, “La Metà del viaggio”, racconta proprio le ispirazioni scientifico-matematiche dell’autore, spiega il senso dei numeri ricorrenti e offre al lettore uno scorcio sulla sua concezione della verità.
Finotti, pur inserendosi su un piano situato al di fuori del tempo, si trova allo stesso modo profondamente dentro gli avvenimenti della storia. Il sesto capitolo si intitola “Senso di colpa assoluto” e racconta le atrocità che un’umanità smarrita è in grado di compiere. “Oswìcim”, “I guerrieri del terzo millennio”, “Passi al contrario” affrontano i temi dell’olocausto, del fronte sul quale vengono combattute le guerre moderne, dell’involuzione di un’umanità capace di creare bellezza e distruzione in un solo colpo. Allo stesso tempo le città millenarie, quelle che hanno vissuto maggiori cambiamenti e fioriture, decadono inghiottite dal tempo e dalla memoria. Vano sembrerebbe dunque l’impegno di un’umanità che crea per disfare, che distrugge per ricostruire, che muta per somigliare sempre a se stessa. In questa bolla senza tempo in cui Finotti ci avvolge non ci sentiamo tuttavia disorientati, quanto più forse abbracciati in una quiete di cui poter godere, spogliati dalla presunzione che tutto dipenda sempre e soltanto da noi.
Gli animali sono i protagonisti indiscussi della seconda parte della raccolta: il focus si sposta sui primati, sui parenti mammiferi, sui pesci e sugli insetti. In loro è riposta la speranza per la sopravvivenza degli ecosistemi naturali, nella speranza che l’uomo possa recuperare la sua dimensione di armonia con il creato. “Io, in quanto essere umano ancora presente in un corpo umano, giuro solennemente di essere delfino. […] Guarderò i fondali marini e respirerò ogni tanto i venti che soffiano sul mio regno, senza mai pensare alla terra. Un giorno tornerò a camminare, attraverso la fossa delle Marianne, verso il solco del Sole”.
Con una scrittura che cattura l’essenza dell’esperienza umana e permette ad essa di trascendere i confini del conosciuto, Gabriele Finotti offre un’opportunità per una riflessione profonda su ciò che è, ciò che è stato e che sarà. Il viaggio di un’anima in cammino tra metamorfosi, esplorazioni e verità intraviste.
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