Intervento del Presidente del consiglio regionale del Veneto Roberto Ciambetti a Longarone
16 Ottobre 2023 16:55
“Senza memoria non c’è futuro” l’affermazione di Primo Levi sintetizza al meglio il motivo della nostra presenza oggi qui a Longarone, e spiega della grande attenzione che un parte importante dell’opinione pubblica e della comunità scientifica non solo italiana riserva alla tragedia del Vajont, che tutti sappiamo essere una frattura violenta nel corso della storia, un evento che segna un prima e il dopo, una tragedia che ha distrutto equilibri secolari e delicatissimi ecosistemi che per millenni avevano legato la comunità al proprio territorio.
In questi giorni della memoria, quando commemoriamo i 60 anni trascorsi dal 9 ottobre 1963, il Consiglio regionale del Veneto in modo unanime, non senza autentica commozione, a nome dell’intera comunità veneta è qui per confermare alle genti di questa vallata la nostra vicinanza e sincera partecipazione convinta al loro dolore.
Secondo le Nazioni Unite la tragedia del Vajont è al primo posto al mondo tra i 5 peggiori esempi di gestione del territorio e dell’ ambiente. “Il Vajont è un classico esempio del fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere il problema che tentavano di risolvere», dice il documento dell’Onu del 2008, redatto in occasione dell’Anno dedicato alla terra, indirizzato a governi ed esperti con il monito a non ripetere gli stessi errori spiegando che «E’ tempo di crescere una nuova generazione di geologi esperti in grado di comprendere meglio i processi che hanno modellato l’ ambiente terrestre e di preservarlo usando gli strumenti che oggi ci permettono di monitorare il nostro pianeta al suolo, nell’ aria e dallo spazio soprastante».
La scienza dell’epoca e le normative vigenti non erano di certo adeguate alla sfida che la Forra del Vajont poneva. Molti gli errori umani che portarono all’ecatombe del 9 ottobre 1963 e gli studi, a iniziare da quelli di Edoardo Semenza, hanno permesso di comprendere molte delle dinamiche che portarono a quel disastro annunciato. La ricerca continua e non si ferma; c’è ancora molto da scoprire come ha dimostrato da ultimo il collega Pietro Ruzzante, già consigliere regionale, autore del volume “L’acqua non ha memoria. Storia Salvata del disastro del Vajont” edito da Utet nel settembre scorso e in cui l’autore presenta nuove prove e inquietanti testimonianze che lasciano allibiti, perché è verissimo che la cultura scientifica dell’epoca, e la stessa amministrazione statale italiana, non erano all’altezza della sfida, è altrettanto vero che davanti all’evidenza dei fatti soprattutto nel 1963 furono prese scelte contrarie a quelle che non solo la prudenza, ma anche alcuni esperti avevano consigliato.
Le immagini di quella tragedia, le testimonianze di chi la visse in prima persona, e tra queste rammento “Stramalora di Gian Antonio Cibotto, parlano di un deserto di detriti e fango, di salme e brandelli di corpi, e quelle immagini rievocano nella mente un proverbio nordafricano che ci dice che la differenza tra il deserto e un giardino fiorito non è l’acqua: è l’essere umano. E anche qui non fu l’acqua del bacino, ma a fare la differenza fu l’essere umano.
Mi domando se veramente abbiamo appreso la lezione che il Vajont, questa vallata, le centinaia e centinaia di morti ogni giorno ci ripetono: noi non siamo un altro da sé dalla natura, siamo parte di essa mentre non possono esistere sviluppo, crescita, benessere, se non nel pieno rispetto della responsabilità che ogni essere umano ha nei confronti dei suoi simili e dell’ambiente in cui vive.
Il Vajont colpisce ancora oggi non solo per la violenza incredibile che si sviluppò nel volgere di quattro minuti, per il numero delle vittime, per la dinamica degli eventi, per la concomitanza incredibile di cause e le drammatiche negligenze, ma anche perché è la manifestazione visibile, concreta della distruzione di quei delicatissimi equilibri degli ecosistemi che erano andati formatosi nel corso di milioni di anni lungo la forra del Vajont ai piedi del monte Toc. Lo tsunami che colpì Longarone, Erto e Casso fino a giungere a Ponte delle Alpi e Belluno, fu causato dall’uomo non da un imprevedibile evento naturale.
La memoria di quanto accadde qui ci dice che le ragioni del profitto ad ogni costo, le ragioni di una economia sregolata che non rispetta né gli esseri umani, né l’ambiente non sono più ammissibili.
Proprio quest’anno “l’Archivio Processuale del Disastro della Diga del Vajont” è stato inserito nel Registro Internazionale del Programma UNESCO Memory of the World: un disastro di proporzioni spaventose da un punto di vista processuale generò ben poca cosa. Gli atti di quel processo dimostrano l’incapacità che ebbe lo stato italiano nell’affrontare la vicenda e nel ruolo che ebbero quanti vollero seppellire le responsabilità giuridiche, penali, ma anche etiche e morali grazie a una rete di complicità, connivenze e subordinazione di tanti attori economici, politici nonché di interi apparati dello stato. Lo stesso stato, del resto, avrebbe dovuto essere sul banco degli imputati. Quell’ecatombe, un autentico sacrificio umano sull’altare dell’irresponsabilità vide solo un paio di condanne reali e pene per altro veramente contenute.
Ecco allora che nella memoria del Mondo non vi è solo la Tragedia del Vajont ma anche una Giustizia negata in uno stato in cui su troppe stragi accadute nel suo territorio, da Vergarolla in poi è sceso un silenzio inaccettabile.
Una democrazia matura e forte può e deve affrontare le sfide più difficili e amare, una democrazia forte e matura deve dare risposte all’intera comunità e alle vittime delle stragi. Tutte le stragi.
Il Vajont continua a parlarci: bisogna essere grati alla comunità locale che difendendo la memoria di quanto accaduto ha saputo difendere la propria identità e i propri valori e su questa memoria ha posto le solide fondamenta per la sua rinascita. Non posso, poi, dimenticare come nel dolore di quei giorni spicchi la solidarietà di quanto accorsero per portare il loro aiuto ad iniziare dai cittadini di Castellavazzo che pur feriti corsero a portare i primissimi soccorsi e poi le Forze dell’ordine, gli Alpini, i soldati statunitensi della Setaf di Vicenza, gli scout, che dettero testimonianza di virtù civiche e di solidarietà ammirevoli.
Prima di dare lettura della risoluzione unitaria elaborata dal Consiglio regionale del Veneto che porremo in votazione, non senza aver ringraziato il sindaco e l’amministrazione comunale che oggi ci ha accolto, ma soprattutto quanti corsero qui a portare il loro aiuto nel 1963 e quanti si impegnarono nella ricostruzione, concludo ben conscio di quanto noi tutti si sia debitori nei confronti della comunità di Longarone e delle sue frazioni di Castellavazzo, Codissago, Fortogna, Dogna e Provagna, oltre ad Erto e Casso in Friuli: la loro memoria non ci parla del loro passato, ma spiega il presente e ci interroga sul nostro futuro.
Do lettura della Risoluzione…..
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