Lavoro, guadagno, pago e pretendo la sostenibilità (sempre di più)
26 Luglio 2021 06:00
In questo articolo:
- Il 44% dei consumatori italiani considera la sostenibilità un tema importante
- Il 23% è un cittadino eco-responsabile nella vita privata
- La testimonianza di Gian Mario Bosoni, AD di Emiliana Conserve: “Si fa presto a dire sostenibilità, per farla davvero bisogna interpretarla a tutto tondo”
- Se sei più sostenibile paghi meno interessi: cosa sono i Sustainability-linked bond, la nuova frontiera delle obbligazioni
I consumatori italiani ed europei sono sempre più condizionati dalle tematiche legate alla sostenibilità. Sono più coscienziosi e all’interno del loro giudizio considerano anche quanto l’azienda produttrice del prodotto presente sullo scaffale sia attenta come loro a queste tematiche. A dirlo sono due ricerche pubblicate le scorse settimane da Sap e GfK, che hanno compiuto interviste e preparato le statistiche. Non serve tuttavia scomodare aziende e istituzioni internazionali per comprendere quanto la sostenibilità sia diventata una virtù richiesta dai consumatori e quindi imprescindibile. Lo conferma infatti anche Gian Mario Bosoni, amministratore di Emiliana Conserve (azienda presente a Piacenza con lo stabilimento di San Polo di Podenzano), che racconta quanto sia cambiato il modo di approcciare le tematiche in questione e quanto sia facile abusare del termine “sostenibilità”. Emiliana Conserve ha infatti recentemente annunciato che dal 2022 si alimenterà unicamente da fonti rinnovabili e utilizzerà soltanto pomodoro proveniente dalla filiera sostenibile e certificata. Ma facciamo parlare prima i numeri.
La sostenibilità vende (sempre di più)
Il 44% dei consumatori italiani considera la sostenibilità un tema molto importante. A dirlo è un recente studio condotto da Sap, società di software per la gestione dei processi aziendali, in collaborazione con Qualtrics su 1.249 consumatori,. Insomma più di un italiano su quattro, quando si trova a dover scegliere da chi acquistare un determinato bene o servizio, considera all’interno del proprio giudizio la consapevolezza ambientale dell’azienda che sta dall’altra parte. A seconda dei settori i consumatori pongono però una diversa attenzione al tema. Se nell’ambito dei servizi la quota scende al 33%, nell’automotive e nel mercato food (alimentare) si toccano rispettivamente il 49% e il 48%. Quasi uno su due. Specialmente per quanto riguarda il food, il 45% degli intervistati ritiene importante che i brand puntino a un approvvigionamento sostenibile (in quanto segno di rispetto verso l’ambiente) e il 56% desidera monitorare l’impronta di carbonio dei marchi alimentari. Ma non finisce qui. Addirittura il 68% dei consumatori sarebbe disposto a pagare di più per un prodotto ritenuto “green”, ovvero sostenibile, purché però la differenza di prezzo con le altre marche sia marginale. Il 18%, di contro, starebbe a guardare unicamente il prezzo migliore, mettendo in secondo piano l’attenzione del marchio all’ambiente.
L’esempio del mercato del pomodoro
I numeri contenuti in freddi rapporti e sondaggi incontrano la realtà del mercato. La sostenibilità è infatti un tema sempre più prioritario per i consumatori e, di conseguenza, per i produttori, che devono adeguarsi alle richieste del mercato. Gian Mario Bosoni, amministratore delegato di Emiliana Conserve, conferma come ad esempio “nel settore pomodoro, schiacciato da una competizione mondiale di prezzi bassi con prodotti che arrivano senza alcuna garanzia di salubrità da tutto il mondo, Cina in primis, la materia prima deve avere provenienza certa e fornitori agricoli che rispondono a determinati requisiti. Tutti i nostri fornitori devono avere la certificazione ISCC plus oltre alla nostra produzione interna”. ISCC Plus che è proprio un sistema di certificazione riconosciuto a livello internazionale di sostenibilità, assenza di deforestazione e tracciabilità, ad esempio, delle materie prime utilizzate nel processo produttivo.
Sale la quota di eco-attivi (Sì, ma chi sono gli eco-attivi?)
Un’altra recente ricerca di GfK, uno dei più importanti centri di ricerca tedeschi, ha rilevato che nel 2020 è cresciuta la quota dei consumatori eco-attivi. Un termine che poi rappresenterebbe coloro che “si sentono responsabili e stanno compiendo passi significanti per ridurre il loro consumo di plastica e conoscono quali aziende pongono davvero attenzione all’ambiente”. La fetta di consumatori più attenta alle tematiche ambientali e che anche nella vita privata porta avanti la propria personale battaglia per la sostenibilità. Ebbene, questi ultimi sarebbero saliti al 24% del totale (con un picco di 38% in Germania e un 18% in Repubblica ceca, passando per il 23% dell’Italia). In discesa invece la quota di consumatori che non pongono attenzione all’ambiente. Secondo GfK gli eco-attivi apparterrebbero principalmente alle classi più giovani della popolazione, che fungerebbero da meccanismo di trasmissione alle generazioni più mature (il 48% degli intervistati dichiara di essere condizionato dall’opinione dei figli sull’ambiente durante gli acquisti).
Sostenibilità, una parola più facile a dirsi che a farsi
Si fa presto a dire “sostenibilità”. Consci del fatto che sia una tematica a cui i consumatori tengono particolarmente, potendo quindi favorire gli affari, il termine “sostenibilità” è stato oggetto negli ultimi tempi di una discreta inflazione. Risale in realtà al 1986 il conio del termine “greenwashing”, che Treccani definisce “strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”. Insomma utilizzare la parola “sostenibilità” anche quando non ve ne sarebbe reale motivo, solo per spingere i propri affari. Un rischio più prossimo di quanto si possa pensare. “È vero, la sostenibilità è un concetto spesso abusato e ce ne rendiamo conto quotidianamente nel nostro settore”, spiega Bosoni, secondo cui la miglior difesa nei confronti del “greenwashing” è l’attacco, ovvero proporre una filosofia di sostenibilità a tutto tondo. “Noi della tanto abusata parola sostenibilità stiamo facendo una bandiera. Sostenibilità nella più ampia accezione del termine, che è composta da tre pilastri, ovvero ambiente, aspetti sociali ed economici. A trecentosessanta gradi”.
Una scelta obbligata e dettata dal mercato
“Avendo dovuto affrontare spesso una concorrenza non leale che deriva dall’importazione di semilavorati dall’estero, poi confezionati e spacciati per prodotti fatti con pomodoro italiano, siamo stati costretti a fare della sostenibilità una delle nostre virtù”, prosegue Bosoni. “Non sono mancati negli ultimi tempi marchi che si spacciavano per italiani prodotti che italiani non erano”. “Sostenibilità alla fine è scelta obbligata oltre che di moda. Valorizzare l’origine della materia prima che deriva da una filiera certificata e sostenibile è un valore aggiunto che possiamo dare al nostro business, ma è un concetto che si applica a tutte le aziende operanti nel settore food, e non solo”. Una scelta che va presa per tempo, anticipando i trend del mercato: “Abbiamo già una certificazione SGS di “servizio di controllo della filiera del pomodoro italiano sostenibile”, noi la parola “sostenibile” la usiamo già da sei sette anni, ma ora vogliamo andare oltre”. Bosoni si riferisce a “Emiliana 5.0”, pomodoro lavorato proveniente da una filiera sostenibile e certificata con cinque standard differenti, SA 8000, 14001, 22005, ISCC Plus e ISO 26000, che fornirà la materia prima ad Emiliana Conserve dal 2022.
Standard più rigorosi per essere competitivi all’estero
Il caso di Emiliana Conserve permette anche di evidenziare quanto il riuscire ad essere sostenibili e, quindi riconosciuti come tali, rappresenti una virtù fondamentale sul mercato estero. “Dato che a livello nazionale abbiamo già una quota consistente del mercato della fornitura ai brand retail [quelli destinati ai consumatori privati al supermercato, ndr] il nostro obiettivo ora è espanderci di più all’estero”, racconta Bosoni. “In quell’ambito i valori della sostenibilità, ovvero energia elettrica derivante da fonti green e la certificazione del prodotto sono fondamentali per essere credibili. Il prodotto alimentare italiano è bello proprio perché italiano, ma non basta, lo è anche in quanto salubre e sostenibile nel tempo”. Un requisito che il territorio piacentino e l’Emilia-Romagna hanno ben presente da tempo. “Si badi bene, l’Emilia-Romagna su queste cose è all’avanguardia da anni, basti pensare al sistema QC (Qualità Controllata) che viene utilizzato in tutto il nord Italia nella coltivazione del pomodoro. Non posso non citare anche Confapi Piacenza, dove sono presidente di Unionalimentari, un gruppo di aziende che credono profondamente in questi principi”.
Energia rinnovabile come messaggio
“Per quanto riguarda l’energia elettrica abbiamo compiuto invece una scelta volutamente green”, dice Bosoni. Emiliana Conserve infatti prevede dal 2022 di alimentare i propri stabilimenti unicamente con energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili. “Per noi questa scelta ha un costo, perché la pagheremo leggermente di più rispetto all’energia tradizionale, ma del tutto sopportabile in quanto scelta volutamente di impatto ambientale. Le fonti rinnovabili ci faranno ridurre le emissioni annue di 3500 tonnellate, lo stesso beneficio che si avrebbe piantando una foresta da quaranta ettari”. Secondo l’amministratore delegato di Emilia Conserve le aziende non dovrebbero limitarsi al messaggio, ma sfruttare le proprie azioni per guadagnare posizioni di mercato: “Così noi facciamo qualcosa di buono anche per il nostro marketing, ci presentiamo su una clientela evoluta, perché noi produciamo prodotti di qualità. Vogliamo far sì che la nostra clientela acquisti ancora più volentieri da Emiliana Conserve conoscendo il nostro impegno”.
La nuova frontiera dei sustainability-linked bond sbarca a Piacenza
La sostenibilità non ha solo permeato le preferenze dei consumatori, portandoli ad una maggiore attenzione nel momento dell’acquisto. Ha anche rivoluzionato il mondo della finanza. Da un decennio ormai stanno prendendo sempre più piede i “Green bond”, obbligazioni che permettono ad aziende e istituzioni di indebitarsi, ricevendo risorse destinate (e di fatto “vincolate”) ad investimenti in materia di sostenibilità [per un approfondimento a riguardo è già disponibile un articolo su Green future, ndr]. Secondo le stime di Bloomberg NEF i Green bond emessi nel mondo sono passati da 26,6 miliardi nel 2013 a 732,1 miliardi di dollari nel 2020, con un nuovo e importante aumento previsto anche per il 2021. Vi è tuttavia una ulteriore tipologia di strumento finanziario, sempre legato alla sostenibilità ma di natura differente: il sustainability-linked bond. La traduzione in italiano sarebbe “obbligazione con interessi collegati alla sostenibilità”. Uno strumento del tutto nuovo, che ha solo pochi anni di vita, ma che sta incontrando sempre più i favori degli operatori del settore.
Emiliana Conserve ha recentemente annunciato proprio l’emissione di uno di questi strumenti, dal valore nominale di 8 milioni di euro e sottoscritto da Unicredit. Piacenza ha così l’occasione di fare la conoscenza di questa nuova frontiera della finanza strutturata direttamente sul proprio territorio.
Come si evince dal comunicato di Unicredit, l’azienda ha emesso un Sustainability-linked minibond da 8 milioni di euro in una operazione garantita da SACE per il 55% della cifra complessiva. Cosa significa tutto questo? Il sustainability-linked bond è un tipo di obbligazione in cui il tasso di interesse richiesto al debitore varia a seconda del raggiungimento o non raggiungimento di obiettivi specifici legati alla sostenibilità. Emiliana Conserve si è impegnata nell’arco di sei anni di raggiungere percentuali del 100% sia di energia elettrica acquisita prodotta da fonti rinnovabili che di pomodoro lavorato proveniente dalla filiera sostenibile certificata “Emiliana 5.0”. Se rispetterà gli impegni, l’azienda avrà uno sconto sul tasso di interesse richiesto dalla banca. Il “sustainability-linked bond” incentiva quindi le aziende ad attuare comportamenti responsabili e sostenibili al fine di vedersi alleggerire gli oneri finanziari: un modo in più per evitare il “greenwashing” e spingere le aziende a dar seguito alle proprie promesse.
La garanzia SACE per spingere le imprese ad esportare
“Lo Stato dice: mi rendo fideiussore del debitore-impresa nei confronti della banca se questa banca presta soldi per motivi che ritengo meritevoli. Il nostro prestito obbligazionario da 8 milioni di euro per il 55% del suo importo è garantito da SACE, quindi anche le banche, nel nostro caso Unicredit, rischiano solo una parte del finanziamento”, spiega Bosoni. SACE è una società per azioni di Cassa Depositi e Prestiti attiva nell’assicurazione del credito all’esportazione. “Ma questo passaggio non è per nulla semplice, automatico o scontato. Lo Stato garantisce solo se c’è un motivo valido. A differenza di quello che si possa ipotizzare, il nostro finanziamento non è legato strettamente al green, bensì al canale export, ovvero sviluppo delle esportazioni da parte di un operatore italiano. Un segnale forte, per far capire quanto la sostenibilità rappresenti un valore aggiunto sul mercato internazionale”.
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