Investimenti nelle rinnovabili, così non basta: l’allarme dell’Iea
30 Luglio 2021 06:00
In breve:
- Gli Stati non stanno investendo abbastanza nelle fonti rinnovabili
- Di questo passo non si raggiungerà la neutralità climatica
- Italia ed Europa sono in realtà in prima linea
- L’agenda proposta dall’Agenzia internazionale è molto (forse troppo) ambiziosa
La spesa pubblica stanziata per rilanciare le economie mondiali colpite dal Covid-19 ha dimenticato le energie rinnovabili. A lanciare l’allarme è l’Agenzia internazionale dell’energia, che denuncia come la spesa per la transizioni a fonti di energia pulita si limiti al 2% del totale, insufficiente per raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050. A dire il vero le cose sono un po’ più complicate ma bisogna scomodare le cifre per capirlo.
Solo il 2% della spesa pubblica dei Paesi è destinata all’energia pulita
Secondo le stime dell’Iea, Agenzia internazionale dell’energia, la spesa pubblica destinata all’energia pulita approvata in giro per il mondo si ferma al 2% del totale. Stando ai dati aggiornati al secondo trimestre 2021, quindi la fine di giugno, il governi avrebbero messo in campo circa 380 miliardi di dollari per stimolare il campo delle energie rinnovabili, all’interno dei loro pacchetti per contrastare la crisi economica del Covid-19. Una cifra che l’Iea ritiene insufficiente, nonostante si tratti di un passo avanti rispetto all’era pre-pandemica. I provvedimenti messi in campo dal 2020 dovrebbero infatti portare 230 miliardi di dollari extra ogni anno tra il 2021 e il 2023 per l’energia pulita e l’infrastruttura energetica. Una cifra che rappresenta un incremento del 30% rispetto ai livelli registrati negli anni precedenti.
Di questo passo verrà mancato l’obiettivo emissioni zero per il 2050
Come anticipato, la cifra messa in campo dai governi di questo passo sarà insufficiente a raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni nette di anidride carbonica da qui al 2050. Precisamente, le risorse investite nelle fonti rinnovabili si fermerebbero al 35% di quelle necessarie secondo i calcoli dell’Iea. Chiaramente ci sono aree geografiche e Paesi del mondo più propensi ad investire nelle energie verdi. Nelle “economie avanzate” la spesa allocata raggiunge il 60% del target previsto mentre in quelle “emergenti e in via di sviluppo”, dove gli investimenti si concentrano in altre voci ritenute prioritarie, si scende al 20%.
Anche con la totale implementazione dei programmi di spesa annunciata verrà registrato un incremento della anidride carbonica emessa tale da segnare un record negativo nel 2023, per poi continuare ad aumentare da lì in poi.
Con il Recovery plan le cifre sono ben più elevate
La politica adottata dall’Unione europea nell’ambito delle risorse del Recovery fund presenta cifre ben più elevate rispetto al 2% stimato dall’Iea. L’Unione europea infatti impone che almeno il 37% della cifra complessiva dei piani nazionali di ripresa venga allocata alla voce “investimenti e riforme per il clima. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano le risorse per energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile ammontano a 23,78 miliardi di euro, di cui solo 5,9 però destinati ad incrementare la quota di energia prodotta da fonti di energia rinnovabile. Si tratta rispettivamente del 12,4% e del 3,1% delle risorse complessive del Recovery fund (191,5 miliardi di euro).
L’agenda dell’Agenzia internazionale dell’energia è molto (troppo?) ambiziosa
Nel suo sito l’Iea spiega nel dettaglio la sua agenda che dovrebbe portare alle emissioni nette zero entro il 2050. Una serie di provvedimenti decisamente ambiziosi e che richiedono uno sforzo politico e in termini di investimenti particolarmente esigente. Anzitutto si prevede di triplicare la spesa annuale per l’energia pulita entro il 2030. In una delle tabelle contenute nel rapporto completo l’Agenzia si pone come obiettivo una capacità di produzione di energia elettrica da pannelli solari ed energia eolica quadruplicata oltre i 1.000 GigaWattora (dagli attuali poco più di 200 indicati) e un numero di vendite di auto elettriche diciotto volte superiore a quello del 2020. Da qui in poi le stime si fanno ancora più ipotetiche, per non dire rarefatte: “La maggior parte delle riduzioni di CO2 fino al 2030 provengono da tecnologie che sono già attualmente sul mercato. Ma nel 2050 quasi la metà della riduzione delle emissioni proviene da tecnologie che attualmente sono in fase di sperimentazione o limitati a prototipi”. Tra i vari obiettivi anche il raggiungimento del 20% dei veicoli elettrici sul totale nel 2030.
Il G20 pare avere adottato la stessa agenda (con grandi divisioni)
Nel comunicato congiunto pubblicato al termine del G20 sul clima tenutosi a Napoli il 22 e 23 luglio, i rappresentanti dei Paesi coinvolti hanno ribadito l’impegno a mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi celsius rispetto ai livelli preindustriali (obiettivo chiave degli Accordi di Parigi del 2015). È tuttavia mancata, specialmente da Paesi come India e Cina, l’impegno alla decarbonizzazione totale della propria economia. Nel comunicato della presidenza del G20 si legge: “Due questioni sono rimaste aperte nonostante una lunga ed estenuante discussione: accelerare la decarbonizzazione nel prossimo decennio fissando una data obiettivo e interrompere il finanziamento pubblico alla produzione di energia a carbone”. L’India ha inoltre richiesto un ulteriore aggiunta, sostenendo che le economie in via di sviluppo hanno “un bisogno legittimo di crescere” e rilanciando, chiedendo alle economie del G20 di “abbassare le emissioni pro-capite al di sotto della media globale entro il 2030”. Due mondi diversi con esigenze differenti, che non riescono ad accordarsi.
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