Accordo di Parigi, nel 2015 la svolta (parziale) nella lotta al cambiamento climatico
20 Ottobre 2021 06:00
In breve:
- L’Accordo di Parigi nel 2015 introdusse il limite dei 2 gradi centigradi di riscaldamento globale rispetto ai livelli pre-crisi
- Questo obiettivo di fatto mandò in pensione il precedente Protocollo di Kyoto (1997)
- Nel novembre 2019 Donald Trump avviò la procedura per l’uscita degli usa dall’Accordo, formalmente avvenuta un anno dopo
Nel dicembre 2015 si è tenuta un’altra fondamentale edizione della Conferenza delle Parti, la Cop21. Ospitata dalla Francia, permise non senza difficoltà il raggiungimento dell’Accordo di Parigi. A differenza del Protocollo di Kyoto, suo antenato, questi accordi spostavano l’attenzione dalla quantità di emissioni di CO2 alla reale entità del riscaldamento globale rispetto al periodo pre-industriale.
Mandare in pensione il Protocollo di Kyoto
Il Protocollo di Kyoto aveva fatto il suo corso ed era necessario sostituirlo con qualcosa di più aggiornato e al passo con le esigenze, ma anche le necessità, di un cambiamento climatico sempre più incisivo. L’accordo raggiunto in Giappone nel 1997 (ma entrato realmente in azione solo nel 2005) non dettava infatti obiettivi tassativi ai singoli Paesi ma si limitava ad un impegno condiviso di contenere le emissioni di CO2 al di sotto dei livelli del 1990 di una certa percentuale. Con l’Accordo di Parigi la musica è cambiata.
Sostenibilità sotto i Campi Elisi
Il teatro di questo pensionamento è stata la Cop21, tenutasi in Francia tra il 30 novembre e il 12 dicembre 2015. Una Cop21 complicata ma in senso positivo, in quanto vide appassionanti e complicate trattative proseguire anche fino a tarda notte. Al termine delle due settimane di contrattazioni un effettivo accordo per “consenso” (come funziona nell’ambito delle Nazioni unite) è stato raggiunto.
Da qui la soglia dei 2 gradi centigradi
È con l’Accordo di Parigi che si passa dagli impegni focalizzati sulla riduzione delle emissioni a quello di contenimento del riscaldamento globale in sé. Dalla capitale parigina i 190 Paesi firmatari escono con l’impegno di mantenere l’aumento medio della temperatura globale ben al di sotto di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. In realtà quella dei 2 gradi centigradi rappresenta una soglia minima di impegno. L’Accordo indicherebbe infatti di puntare ad un aumento di soli 1,5 gradi centigradi (e 0,5 gradi sono un intervallo notevolmente complicato da raggiungere quando si parla di temperatura della Terra).
Rispetto al Protocollo di Kyoto emerge inoltre un’altra interessante differenza. Mentre nel 1997 si parlava di tagliare le emissioni di gas serra, nel 2015 a Parigi si passa a “fare in modo che le emissioni globali raggiungano il livello massimo al più presto possibile”, di fatto decretando il parziale fallimento degli accordi giapponesi.
In questo grafico sono riportate le emissioni di anidride carbonica in milioni di tonnellate ogni anno, a seconda del rispetto o mancato rispetto dell’Accordo di Parigi. Stando a questa analisi, l’Unione europea si collocherebbe su una valutazione definita “insufficiente”, al momento.
L’uscita degli Stati Uniti dagli accordi
Nel giugno del 2017 l’allora Presidente degli Stati uniti Donald Trump annunciò l’intenzione di far uscire Washington dall’Accordo di Parigi. La motivazione principale che spinse Trump verso questa scelta fu il fatto che l’accordo fosse, a suo avviso “ingiusto per gli Usa”. Uscire dagli accordi lasciando la porta aperta ad un possibile ritorno, ma solo nel caso in cui vi fosse stato un altro accordo “con termini che sono giusti per gli Stati uniti”. Il processo di uscita ebbe inizio nel novembre 2019 e portò il Paese ad ufficializzare l’uscita un anno dopo, il 4 novembre 2020. Vista la mancata rielezione di Donald Trump, però, poi gli Stati uniti hanno ripristinato la loro adesione sotto la presidenza di Joe Biden.
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