Nel 2019 la COP di Madrid si chiuse con un nulla di fatto
22 Ottobre 2021 06:00
In breve:
- La Conferenza di Madrid viene giudicata quasi unanimemente un fallimento negoziale
- Nessun passo avanti concreto venne deciso sul fronte della lotta al cambiamento climatico
- A Cop26 il compito di riprendere il filo e sanare le divisioni
Il 31 ottobre i membri delle Nazioni unite si riuniranno nuovamente dopo ben due anni di distanza da Cop25. L’ultima conferenza ospitata da Madrid deluse le aspettative, con una sostanziale assenza di passi avanti rispetto all’Accordo di Parigi. Ma è giusto riavvolgere il nastro per capire come i protagonisti, ovvero i rappresentanti di ciascuno Stato membro, si sono lasciati, anche in vista di Cop26.
Conferenza delle Parti, dove eravamo rimasti?
A causa della pandemia la 26esima edizione della Conferenza delle parti (Cop26) è stata posticipata dal 2020 al 2021. Sono insomma quasi due anni che i Paesi dell’Onu non si riuniscono fisicamente attorno al tavolo per discutere del cambiamento climatico. L’ultima volta avvenne nel 2019 a Madrid. Anche in quel caso le aspettative erano elevate. Sul piatto c’erano le misure che avrebbero dovuto completare l’articolato insieme di impegni e norme contenute all’interno dell’Accordo di Parigi del 2015, in particolare il mercato delle emissioni di anidride carbonica.
Mercato della CO2, ovvero far pagare per inquinare
All’interno dell’Unione europea è una realtà consolidata da anni, il cosiddetto “Emission trading scheme”. Per semplificare, vengono indette delle aste in cui sono offerte delle “quote di emissioni” di anidride carbonica. Più una azienda o una centrale elettrica prevede di inquinare e più quote dovrà acquistare per garantirsi il diritto di emettere nell’atmosfera più tonnellate di CO2. Un modo per racimolare risorse pubbliche aggiuntive e – teoricamente – penalizzare chi inquina (anche se poi gli oneri di queste aste spesso vengono scaricate direttamente sulle utenze).
I Paesi che si sono messi di traverso
Mentre l’Unione europea si è presentata compatta con i propri obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 e anche un principio di “Green deal” (che poi la pandemia ha in sostanza fatto confluire all’interno del Recovery fund), diverse potenze mondiali si sarebbero messe di traverso, ostacolando l’avanzare delle trattative. Secondo le ricostruzioni i principali indiziati sarebbero stati Paesi come Brasile, Australi, Stati uniti e Cina. Va da sé che, senza le buone intenzione e l’impegno di queste ultime due nazioni, ogni accordo raggiunto anche dalla totalità delle restanti si ridurrebbe ad un mero esercizio di stile.
Niente accordi sotto il cielo di Madrid
Alden Meyer dell’unione degli “Concerned scientists” (in italiano “scienziati preoccupati”, organizzazione senza scopo di lucro statunitense che spinge per un mondo “più sano e sicuro”) commentò l’andamento delle trattative in questo modo: “Non ho mai visto una tale distanza tra le richieste della scienza e ciò che le negoziazioni sul clima stanno portando in termini di azioni significative. La maggior parte dei paesi che emettono più gas serra non stanno agendo”.
Lo stesso segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres dichiarò: “Sono deluso dai risultati di Cop25. La comunità internazionale ha persona una importante opportunità per mostrare una maggiore ambizione nel mitigare, adattarsi e finanziare il contrasto alla crisi climatica”.
La rabbia dei manifestanti
Durante la Cop25 non mancarono tensioni tra il “palazzo” e i manifestanti che si presentarono specialmente a seguito dell’intervento di Greta Thunberg. I giovani ambientalisti denunciarono di essere stati spinti fuori dal luogo dell’assemblea dalla sicurezza. Effettivamente lo staff delle Nazioni unite intervenne dopo che il gruppo di manifestanti presenti cominciò a intonare slogan in favore dell’adozione di misure di contrasto al cambiamento climatico. Il direttore esecutivo di Greenpeace, Jennifer Morgan, seguì i manifestanti per solidarietà.
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