Cop26, l’Italia aderisce all’alleanza “Boga” per lo stop ai combustibili fossili
12 Novembre 2021 06:00
In breve:
- L’Italia aderisce marginalmente al Boga, iniziativa lanciata da Danimarca e Costarica
- Una notizia positiva per la transizione ma, in termini numerici, piuttosto marginale
- La Germania guida lo schieramento dei Paesi contrari al nucleare come fonte rinnovabile, la Francia la pensa diversamente
Volata finale per la Cop26, chiamata a chiudere quasi due settimane di annunci e trattative serrate con un impegno in contrasto al cambiamento climatico. La scorsa giornata, la penultima, ha lasciato alle cronache due notizie principali. La prima riguarda l’adesione dell’Italia ad una alleanza per l’azzeramento dell’utilizzo dei combustibili fossili. Dall’altra la battaglia tutta interna all’Ue per l’inserimento dell’energia nucleare all’interno della lista delle fonti “green”.
L’Italia aderisce al Boga
Anche l’Italia ha deciso di aderire al Boga. Cos’è il Boga? Ottima domanda, visto che questa notizia è passata silenziosamente tra le grandi testate e non ha avuto sufficiente eco. Il Boga sta per “Beyond oil and gas alliance”, ovvero alleanza per andare oltre petrolio e gas naturale. Un passo che vede l’Italia stringere una nuova promessa riguardo l’uscita dall’utilizzo dei combustibili fossili, oltre agli impegni già firmati durante la Conferenza delle Parti.
“L’Italia aderisce al Beyond Oil and Gas Alliance, L’ho comunicato al ministro danese. L’Italia su questo programma è perfino più avanti, e abbiamo le idee chiare: il grande piano per le rinnovabili con 70 miliardi di watt per i prossimi 9 anni, per arrivare al 2030 con il 70% di energia elettrica pulita”, ha dichiarato il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani durante la Cop26.
Ma alla fine cos’è questo Boga?
Il Boga nasce da una iniziativa di Danimarca e Costarica e pone come questione prioritaria lo stop a nuove concessioni di licenze per l’esplorazione e l’avvio di nuova produzione di petrolio e gas naturale. Si tratta di un gruppo ristretto di Paese che nulla ha a che vedere con la totalità dei Paesi della Cop26 (oltre 190). Oltre a Danimarca e Costarica questo “patto” vede tra i propri membri principali Svezia, Francia, Quebec (regione del Canada), Groenlandia, Irlanda e Galles. Tra gli associati si annoverano California, Nuova Zelanda e Portogallo. L’Italia figura invece tra i Paesi “amici”, il grado più basso e meno vincolante di questo accordo. A tal riguardo il Washington Post commenta con “Non è chiaro cosa questo comporti realmente”.
Meet the members of the #BeyondOilAndGasAlliance🌏. We are thrilled to announce the membership of Quebec, France🇫🇷, Sweden🇸🇪, Ireland🇮🇪, Wales🏴 & Greenland🇬🇱 as Core Members and California, Portugal🇵🇹 & New Zealand🇳🇿 as Associate Members and Italy🇮🇹 as Friends of #BOGA #COP26 pic.twitter.com/I6roWkAVQd
— The Beyond Oil & Gas Alliance (@beyondoilgas) November 11, 2021
Un accordo importante, ma bisogna essere oggettivi: si tratta solamente di una frazione del campo di battaglia sul cambiamento climatico che coinvolge sì nazioni importanti ma anche “irrilevanti” nell’insieme se rapportate con le emissioni complessive in tutto il mondo.
Il nucleare, una battaglia silenziosa
Sullo sfondo della Cop26 si sta consumando una battaglia determinante per il futuro dell’energia in Europa. La Commissione europea deve infatti decidere quali fonti di energia inserire all’interno della “tassonomia” delle fonti rinnovabili: quelle che rientrano godranno di certi benefici, le altre rischiano di veder apparire bandi o limitazioni. Il fronte caldo a riguardo è il nucleare. Da una parte c’è la Francia, che su questa fonte di energia ha deciso di puntare ricominciando a costruire reattori nei prossimi anni. Dall’altra la Germania (insieme ad Austria, Portogallo, Danimarca, Irlanda e Spagna) che invece vorrebbe escludere la fissione nucleare dalla “soluzione europea” alla crisi climatica. L’Italia? Al momento non pervenuta, divisa tra la tentazione di ricominciare a puntare su quella fonte per incrementare la produzione nazionale e gli elevati costi necessari a riattivare il “programma atomico”.
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