La Cina apre ai magistrati robot: formuleranno accuse in autonomia
04 Gennaio 2022 06:00
Gli scienziati cinesi hanno sviluppato un algoritmo in grado di accusare le persone in autonomia, servendosi soltanto di un verbale delle autorità: il giudizio resta in campo agli umani, ma questa invenzione apre nuovi e delicati scenari
In Cina presto si potrà essere accusati da un robot magistrato, che supporterà i giudici nei processi. Non è la trama di un film di fantascienza ma la realtà: Pechino vuole alleggerire il carico di lavoro dei procuratori aiutandosi con l’intelligenza artificiale. Un’idea apparentemente comoda e geniale, che però costituisce un precedente e apre a notevoli risvolti e conseguenze.
Un algoritmo che impara da sé
La fonte primaria della notizia è il South China Morning Post, testata di Hong Kong. In Cina avrebbero infatti sviluppato un magistrato “robot” in grado di accusare le persone di una determinata varietà di crimini. Non una macchina in carne e ossa (per lo meno non ancora) ma un algoritmo che impara dalle cause di tribunale già chiuse e riesce ad avere un proprio criterio di giudizio. Una sorta di intelligenza artificiale, che impara dai giudizi umani e li replica con un proprio metro per individuare i colpevoli.
Leggi il verbale, trova il criminale
In termini pratici, questo magistrato-robot legge i verbali scritti dalle autorità, individua gli indizi e le variabili chiave del caso e giunge ad una propria conclusione con una precisione del 97%. O almeno questo è ciò che dichiarano gli sviluppatori, guidati dal professor Shi Yong, direttore dell’Accademia cinese delle scienze dei big data. Una simile precisione deriverebbe oltre che dallo studio degli algoritmi proprio anche dall’attività di machine learning (ovvero la macchina che apprende e perfeziona automaticamente il proprio criterio di giudizio) attraverso lo studio e l’inserimento in memoria di circa 17mila casi risalenti al periodo 2015-2020.
Una applicazione ancora limitata
Sebbene ci si trovi già in un campo di avanguardia e innovazione, la macchina non è ancora in grado di districarsi tra tutte le leggi e i capi d’accusa. È stata infatti calibrata solo su otto dei crimini più comuni, ovvero frode con carta di credito, scommesse clandestine, guida spericolata, violenza intenzionale, intralcio all’attività pubblica, furto e frode generica.
Questo programma, va precisato, non emette sentenze in autonomia e servirebbe soltanto ad “alleggerire” il carico di lavoro dei magistrati in carne ed ossa, che così potrebbero occuparsi dei casi più complicati che necessitano di un tocco umano dall’inizio alla fine.
I precedenti in Malesia (e a Hollywood)
Già dal 2020 in Malesia era stata emessa la prima sentenza da parte di una intelligenza artificiale che funzionava più o meno come quella sperimentata in Cina: un algoritmo che impara dai verbali e dai processi degli anni precedenti, affina i propri criteri ed emette giudizi.
L’altro precedente risale al 2002, ma si tratta di Hollywood. In quell’anno Steven Spielberg firmava “Minority Report”, nella quale la Polizia arrestava le persone soltanto sulla base dell’intenzione di commettere reati. Quello che si dice “processo alle intenzioni”. Certo il paragone è un po’ forzato, ma rende l’idea della possibile deriva dell’applicazione della tecnologia all’interno di una sfera così delicata come quella dei processi penali e del potere giudiziario (insieme a legislativo ed esecutivo, uno dei tre pilastri dello Stato contemporaneo).
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