Ogni settimana ingeriamo 5 grammi di plastica, come mangiare una carta di credito
01 Aprile 2022 05:00
Aprite il portafoglio, prendete una delle tante tessere che tutti utilizziamo quotidianamente e azzannatela.
Sembra ovviamente un comportamento assurdo, ma è ciò che in realtà facciamo inconsapevolmente ogni settimana.
È la provocazione di un gruppo di studiosi che ha lanciato l’allarme microplastiche nell’organismo umano: se ne ingeriscono fino a duemila minuscoli frammenti per settimana, che corrispondono a circa 5 grammi, l’equivalente in peso di una carta di credito. In media sono pari a oltre 250 grammi l’anno.
A puntare il dito contro questa pericolosa “abitudine alimentare” è lo studio ‘No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion from Nature to People’ condotta dall’università australiana di Newcastle (a nord di Sydney) e commissionata dal Wwf, che combina dati di oltre 50 precedenti ricerche.
La maggior parte delle particelle sono sotto i 5 millimetri e vengono assunte con l’acqua che si beve sia dalla bottiglia, sia dal rubinetto.
La microplastica è, infatti, ormai presente nell’acqua di tutto il mondo partendo da quella di superficie per finire nelle falde. Frutti di mare (che filtrano e trattengono anche l’inquinamento marino), birra e sale sono gli alimenti con i più alti livelli registrati.
“I risultati segnano un importante passo avanti nel comprendere l’impatto dell’inquinamento da plastica sugli esseri umani. E devono servire da campanello d’allarme per i governi”, ha dichiarato il direttore internazionale di Wwf, Marco Lambertini.
Un’altra indagine aveva rivelato che negli Stati Uniti, il 94,4% delle acque in bottiglia conteneva fibre di plastica con una media di 9,6 fibre per litro. In Europa, la percentuale di bottiglie contaminate scende al 72,2% con una media di 3,8 fibre di plastica a litro.
LE MICROPLASTICHE ANCHE NEL SANGUE
Inevitabile, verrebbe da dire, che minuscoli frammenti di plastica possano poi finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano.
A raccogliere la prima prova è la ricerca condotta nei Paesi Bassi e coordinata dalla Vrije Universiteit di Amsterdam. I risultati, pubblicati sulla rivista Environment International, sono stati ottenuti dal gruppo di lavoro guidato alla ecotossicologa Heather Leslie e dalla chimica Marja Lamoree, nell’ambito del progetto Immunoplast.
I dati sono stati raccolti grazie all’analisi del sangue donato da 22 persone anonime, nel quale sono state cercate le tracce di cinque polimeri, ossia molecole che sono i mattoncini di cui è costituita la plastica, e per ciascuno di essi sono stati misurati i livelli presenti nel sangue.
È risultato che in tre quarti dei 22 campioni esaminati erano presenti tracce di plastiche e che il materiale più abbondante è il Pet (polietilene tereftalato) di cui sono fatte le bottiglie: è stata misurata una quantità di 1,6 microgrammi per millilitro di sangue, pari a un cucchiaino da tè di plastica in mille litri di acqua (una quantità pari a dieci grandi vasche da bagno).
È risultato molto comune anche il polistirene utilizzato negli imballaggi, seguito dal polimetilmetacrilato, noto anche come plexiglas.
Adesso, osservano le ricercatrici, resta da capire se e con quale facilità le particelle di plastica possono passare dal flusso sanguigno agli organi. “Si tratta dei primi dati di questo tipo e ora – ha detto Lamoree – se ne dovranno raccogliere altri per capire quanto le microplastiche siano presenti nel corpo umano e quanto possano essere pericolose. Grazie ai nuovi dati sarà possibile stabilire se l’esposizione alle microplastiche costituisca una minaccia per la salute pubblica”.
LA DIETA ANTI-PLASTICA DI SLOW FOOD
Un problema sempre più rilevante, tanto che Slow Food aveva anche pubblicato una sorta di decalogo con i consigli utili per ingerire quanta meno plastica possibile.
Bere l’acqua del rubinetto
L’acqua potabile è tra gli elementi che maggiormente contribuiscono all’ingestione di microplastica. L’acqua in bottiglia di plastica ha circa il doppio del livello di microplastica dell’acqua del rubinetto. Inoltre, alcune acque imbottigliate hanno anche dimostrato di avere alti livelli di sostanze chimiche Pfas.
Insomma, scegliete l’acqua del sindaco o se avete la possibilità raccoglietela da qualche fonte in montagna.
Non riscaldare il cibo in plastica
La plastica riscaldata rilascia prodotti chimici nel cibo. Meglio anche evitare la lavastoviglie.
Evitare contenitori di plastica per alimenti con problemi noti
Imballaggi con codici di riciclaggio “3”, “6” e “7” indicano rispettivamente la presenza il Pvc/ftalati, il poliestere/stirene e policarbonato/bisfenolo A, quindi si consiglia di evitare di utilizzare contenitori che hanno quei numeri nel simbolo di riciclaggio sul fondo. Se invece gli imballaggi sono etichettati come “biobased” o “greenware”, non contengono bisfenoli.
Mangiare più cibo fresco
Anche se i livelli di microplastica nei prodotti freschi sono stati in gran parte non testati, questi prodotti hanno meno probabilità di esporvi a sostanze chimiche. Oltre ad essere più sani, perché più ricchi di nutrienti, più buoni e più ecologici.
Ridurre al minimo la polvere domestica
Diamoci da fare con le pulizie domestiche. La polvere può esporre le persone a sostanze chimiche, inclusi ftalati, Pfas e ritardanti di fiamma.
Pensiamo in grande
Se tutti possiamo intraprendere azioni per ridurre il consumo di plastica, è anche vero che sono necessarie azioni su larga scala. Quasi nessuna plastica è effettivamente riciclabile o riciclata. E questo è particolarmente vero per il packaging del cibo.
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