Malattie rare, in Italia più di 100mila pazienti non hanno diagnosi né cura

06 Maggio 2022 05:00

Senza diagnosi, codice e diritti. Malati rari che non possono neppure dare un nome alla loro patologia e che restano in attesa di una cura.
Secondo le stime dei National Institutes of Health americani, la percentuale di pazienti senza diagnosi sulla popolazione generale dei malati rari è pari al 6%.
In Italia, su circa 2 milioni di persone affette da malattie rare, i pazienti senza diagnosi sarebbero dunque oltre 100mila. La difficoltà o l’assenza della diagnosi può essere il risultato di diversi fattori: la particolare “rarità” della malattia (l’85% delle malattie rare ha una frequenza inferiore a 1 caso per milione), la manifestazione clinica poco chiara o anomala della patologia, la compresenza di due o più malattie rare, in alcuni casi la completa novità della malattia mai stata diagnosticata in precedenza.

Sono i “fantasmi” delle malattie rare, come li definisce l’Osservatorio delle malattie rare, che insieme all’ospedale pediatrico Bambino Gesù ha richiamato l’attenzione della comunità scientifica e dell’opinione pubblica in occasione della giornata dedicata, l’Undiagnosed Children’s Awareness Day.
I pazienti, tramite la Fondazione Hopen (dedicata a malattie genetiche rare senza nome), chiedono un codice di esenzione dedicato alle malattie non diagnosticate.
“Il codice – spiega il presidente Federico Maspes – permetterebbe l’accesso all’esenzione per gli esami genetici richiesti, faciliterebbe le richieste di accesso al sostegno scolastico e alla previdenza, con un riferimento tracciabile per l’attivazione delle pratiche per l’indennità di pensione e l’invalidità. Esiste il codice R99 temporaneo, valido nel periodo di attesa per la verifica di un sospetto di malattia rara, ma applicato in maniera non uniforme tra Regioni”.
C’è poi anche la richiesta, contenuta in un’interrogazione parlamentare, di un maggiore impulso alla genomica, inserendo queste indagini diagnostiche nei Livelli essenziali di assistenza. “La diagnosi – conferma il professor Bruno Dallapiccola, direttore scientifico del Bambino Gesù – è una delle pietre angolari nel percorso di chi ha una malattia rara e anche il primo grande scoglio. Mediamente arriva con 4,8 anni di ritardo, un paziente su tre riceve una prima diagnosi errata con terapie non idonee, e anche dopo c’è comunque una fetta che non arriva a una diagnosi. Le cose stanno migliorando, soprattutto grazie ai nuovi strumenti di analisi genetica e genomica, che oggi hanno costi fino a 100mila volte in meno rispetto a 20 anni fa. Grazie a queste indagini, siamo in grado di dare una diagnosi a circa 2 casi su 3, ora l’obiettivo sono tempi sempre più brevi”.
“È un po’ come cercare di risolvere i cold case delle malattie rare – conclude Andrea Bartuli, responsabile Malattie Rare e Genetica Medica del Bambino Gesù, all’interno della quale vi è un ambulatorio dedicato ai pazienti senza diagnosi – grazie alle scienze omiche ci riusciamo in quasi il 70% dei casi”.

LA SCOPERTA SUL LUPUS
Una singola mutazione a carico di un gene chiave nella risposta immunitaria è all’origine di alcune forme di lupus eritematoso sistemico, una malattia autoimmune che può colpire diversi organi del corpo.
È quanto ha scoperto un gruppo di ricerca internazionale coordinato dal Francis Crick Institute di Londra in uno studio pubblicato su Nature.
La ricerca è nata dal caso di una bambina spagnola ammalatasi di una forma severa di lupus a 7 anni. Attraverso il sequenziamento dell’intero genoma della bambina, i ricercatori hanno riscontrato un’anomalia a carico di TLR7, un gene coinvolto nell’attivazione della risposta immunitaria innata. Attraverso l’analisi dei dati di altre persone con lupus, si è osservato che questa anomalia era presente in altri pazienti. Inoltre, in test di laboratorio, i ricercatori hanno dimostrato che se si introduce questo difetto nel genoma di animali di laboratorio, questi sviluppano la malattia.
“Questa è la prima volta che si dimostra che una mutazione di TLR7 causa il lupus; ciò fornisce una chiara prova di un modo in cui questa malattia può insorgere”, ha affermato la coordinatrice della ricerca Carola Vinuesa.
Secondo i ricercatori, la mutazione ha come effetto un aumento patologico della sensibilità delle cellule immunitarie che finiscono per considerare come estranei anche i tessuti dell’organismo. La scoperta, inoltre, potrebbe spiegare perché le donne tendono ad ammalarsi più frequentemente degli uomini: il gene TLR7 si trova sul cromosoma X, presente in duplice copia negli individui di sesso femminile. La specifica anomalia genetica riscontrata nello studio è piuttosto rara, tuttavia, secondo i ricercatori, i meccanismi in cui è implicato il gene TLR7 sono comuni a molte forme di lupus.
Il team è ora al lavoro per identificare composti in grado di colpire selettivamente il gene e verificare se ciò abbia effetti terapeutici.

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