L’università di Harvard investe 100 milioni per “scusarsi” della schiavitù
09 Maggio 2022 14:00
Per la prima volta nella sua lunga storia, Harvard fa mea culpa per la schiavitù e per cancellare questa pesante eredità ha annunciato di voler investire 100 milioni di dollari.
La più antica università d’America si è cosparsa il capo di cenere perché tra i suoi leader, professori e funzionari ci furono proprietari di schiavi tra il Diciassettesimo e il Diciottesimo secolo, quando la pratica era legale in Massachusetts.
L’ateneo Ivy Legue ha pubblicato un rapporto da cui emergono stretti legami con la ricchezza generata dal lavoro di schiavi nel Sud del Paese e nei Caraibi e il suo ruolo importante nella lunga storia del razzismo in America.
Il rapporto contraddice qualsiasi nozione che, in virtù della sua collocazione geografica nel New England illuminato, Harvard fosse rimasta immune dalla piaga dello schiavismo e del razzismo.
Quello pubblicato rappresenta dunque un passo chiave nell’esame di coscienza di una delle università più prestigiose d’America.
L’ateneo, fondato nel 1636, si è impegnato a spendere cento milioni di dollari per riparare alle ingiustizie che macchiano il suo passato unendosi ad altre università – tra cui Brown, Georgetown e il Seminario Teologico di Princeton – che, oltre a scusarsi per la schiavitù, hanno messo a disposizioni risorse finanziarie per fare ammenda.
Tra le scoperte c’è quella che per il primo secolo e mezzo dalla fondazione, schiavi nativi e di origine africana ebbero un ruolo importante nella comunità di Harvard, il cui primo “schoolmaster”, Nathaniel Eaton, aveva “a servizio” un uomo soprannominato “il Moro” che serviva i primi studenti del college.
Altri presidi, studiosi, funzionari e professori ebbero oltre 70 schiavi fino a quando la pratica in Massachusetts fu abolita, nel 1783.
Harvard è l’università più ricca d’America. Si scopre adesso che, ancora alla metà dell’Ottocento, vaste donazioni arrivarono da uomini la cui fortuna era legata al traffico e al lavoro degli schiavi e i cui nomi sono tuttora iscritti all’ingresso di aule e dormitori.
Tra questi, Benjamin Bussey, un mercante di zucchero, caffè e cotone, che lasciò all’ateneo una fortuna di 320mila dollari dell’epoca quando morì nel 1842.
Harvard fu poi tra gli atenei che diedero ospitalità a studiosi di “scienza della razza” e dell’eugenetica tra Ottocento e Novecento, le cui teorie offrirono conforto per così dire “scientifico” ai sostenitori della supremazia dei bianchi.
“Abbiamo beneficato e in certo senso perpetuato pratiche profondamente immorali”, ha detto il presidente dell’università Lawrence Bacow in una email al corpo accademico e allo staff: “Abbiamo dunque la responsabilità morale di fare quanto è in nostro potere per affrontare gli effetti corrosivi di queste pratiche storiche”.
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