Biodiversità minacciata, il tempo scorre velocemente: servono maggiori tutele
13 Luglio 2022 14:20
La crisi climatica rappresenta un problema, e più ancora un pericolo, per tutto il pianeta. Sia gli esseri umani, che gli animali, che la flora del mondo risentono degli sbalzi di temperatura e dello sfruttamento indiscriminato delle risorse.
Una delle situazioni più drammatiche si presenta in Brasile: l’Amazzonia, una delle zone forestali più estese del pianeta, è minacciata ogni giorno da tanti e diversi fattori.
Deforestazione, agricoltura illegale, ricerca dell’oro e traffico di legname sono solo alcune delle minacce che mettono in pericolo la biodiversità di questo luogo tanto speciale, unico al mondo. «La distruzione avanza più velocemente della conoscenza» ha dichiarato Francisco Farronay, giovane scienziato peruviano che lavora per conto dell’Istituto Nazionale di Ricerca sull’Amazzonia (INPA).
Secondo uno studio del collettivo Mapbiomas, l’Amazzonia ha perso 74 milioni di ettari di vegetazione autoctona dal 1985 al 2020, l’equivalente dell’area del Cile. E la deforestazione si è intensificata sotto il governo del presidente di estrema destra Jair Bolsonaro, accusato dagli ambientalisti di favorire l’impunità per i minatori d’oro e i trafficanti di legname, con tagli al budget alle autorità di controllo. Da quando è salito al potere nel gennaio 2019, la deforestazione annuale è aumentata in media del 75% rispetto al decennio precedente.
Farronay e una quindicina di colleghi scienziati sono impegnati in una spedizione organizzata da Greenpeace: la finalità è quella di fare un inventario della fauna e della flora locali, per poi conferire all’area lo status di Regione di Sviluppo Sostenibile (RDS), un tipo di riserva naturale protetta.
«La maggior parte delle specie vegetali in Amazzonia cresce solo qui. Si conosce solo il 60% delle specie arboree, quindi non appena un’area è interessata dalla deforestazione, parte della biodiversità viene eliminata e rimane per sempre sconosciuta» ha dichiarato il ricercatore dell’Inpa Alberto Vicentini a Gea Agency, a cui fa eco Lucia Rapp Py-Daniel, PhD in Ecologia e Biologia Evolutiva: «Ci sono luoghi dove nessuno è mai stato. Senza i mezzi per fare ricerca, non abbiamo le informazioni necessarie per spiegare i motivi per cui è importante preservare queste aree».
Ma ci sono anche buone notizie: negli Stati Uniti un giudice federale ha cancellato le modifiche che l’amministrazione Trump aveva apportato nel 2019 all’Endangered species act (Esa), ripristinando le protezioni normative per tantissime specie a rischio, più di 1.600 specie.
Piccolo riepilogo: la stipula originale dell’Esa risale al 1973, e nasce per proteggere tutte le specie minacciate o a rischio di estinzione degli Stati Uniti. Il presidente Obama aveva portato avanti questa causa con convinzione, ma Donald Trump durante la sua amministrazione aveva ridimensionato notevolmente queste tutele, in linea con le sue convinzioni sulla crisi climatica. Ora l’Endangered species act è nuovamente uno “scudo” potente, per esempio contro l’uccisione indiscriminata delle specie a rischio, e trivellazioni e costruzioni che possono danneggiare l’habitat di animali e vegetali.
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