Ecco perché da mesi il pellet
è introvabile e i suoi prezzi sono schizzati alle stelle

03 Ottobre 2022 05:00

I prezzi del pellet sono raddoppiati e i consumatori sempre più spesso lamentano difficoltà nel reperire i sacchetti.
Come siamo arrivati a questa situazione? “Le cause sono molteplici – spiega Annalisa Paniz, direttrice di Aiel (Associazione italiana energie agroforestali) – in primo luogo l’approvvigionamento italiano dipende dalle importazioni, che prevalgono rispetto alla produzione nazionale. Ovviamente il bando al legname proveniente da Russia e Bielorussia e la riduzione dei flussi ucraini hanno determinato una contrazione diretta del nostro mercato non inferiore al 10% delle quantità commercializzate annualmente nel nostro Paese. Le sanzioni economiche, invece, hanno comportato una riduzione di materia prima idonea alla produzione di pellet, la cui lavorazione negli stabilimenti europei rendeva disponibili ingenti quantità di scarti e residui (segatura) da cui era possibile produrre pellet”.
Allo stesso tempo, Regno Unito, Paesi baltici ed Europa centro-settentrionale, che si approvvigionavano di più da Russia e Bielorussia, hanno ridotto le proprie esportazioni per soddisfare i fabbisogni interni, così i flussi d’export residui hanno subìto repentini rialzi di prezzo.
A livello europeo, l’interruzione dell’approvvigionamento da Russia, Bielorussia e Ucraina ha creato una carenza complessiva stimata in circa 3 milioni di tonnellate di pellet.
Paesi come Bosnia Erzegovina, Ungheria e Serbia hanno a loro volta introdotto misure protezionistiche per tutelare i propri mercati interni, accentuando in questo modo le difficoltà del commercio internazionale.
La competizione si è poi aggravata dal fatto che è cresciuta la domanda da parte del settore industriale, rappresentato dalle grandi centrali nord-europee alimentate a biomasse per la produzione elettrica e cogenerazione, costrette a puntare sul pellet a causa dello choc dei prezzi energetici. “Ecco perché, ad oggi – dice Paniz – il segmento domestico si trova a non poter competere con i prezzi per la concorrenza del settore industriale di Paesi come Regno Unito, Belgio, Danimarca e Paesi Bassi, disposto all’acquisto anche a prezzi molto elevati, comunque convenienti rispetto ad altre opzioni energetiche”.
Infine, tra le cause dei rincari, va annoverato l’aumento della domanda in Europa, dovuto all’andamento positivo delle vendite e delle nuove installazioni di generatori di calore a pellet (stufe e caldaie) in alcuni Paesi, in particolare Francia e Austria. Solo che la domanda si è sviluppata velocemente e l’offerta deve ancora reagire e adattarsi ai nuovi livelli richiesti dal mercato.
Quando tornerà allora il sereno? Secondo Aiel “sarà difficile che la situazione attuale possa risolversi quest’inverno, quando i flussi d’importazione da Paesi come Germania, Austria e Paesi baltici diminuiranno fisiologicamente”.
Tutte le associazioni europee concordano sul fatto che il mercato europeo del pellet saprà reagire alle attuali sollecitazioni con un aumento dei livelli produttivi, anche se i processi di adeguamento dei livelli d’offerta avranno bisogno di tempo per essere realizzati compiutamente. È prevista per il 2023 l’inaugurazione di undici nuovi impianti in Austria, in Francia la capacità produttiva nazionale potrebbe addirittura raddoppiare entro il 2028 e anche in Italia si registra un nuovo e recente interesse per l’insediamento di nuovi impianti locali di produzione di pellet.
Ma la “fame” di pellet degli italiani sembra più forte dei rincari e dalla mancanza di materia prima. La voglia di risparmiare è testimoniata, ad esempio, dalla ricerca del termine “pellet” sui motori di ricerca on line. Analizzando Google Trends, che registra l’andamento delle ricerche effettuate su internet nell’ultimo anno, si scopre che dopo un primo boom nei primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina (nella settimana dal 6 al 12 marzo un valore di 72 in una scala che va da 0 a 100)), le ricerche si sono stabilizzate in primavera per risalire ancora 72 nella settimana dal 10 al 16 luglio, fino a toccare gli 85 punti tra fine agosto e primi di settembre e viene stimata a 100 a fine settembre.
Tra le regioni più interessate al combustibile per le stufe c’è la Sardegna, notoriamente sprovvista di una rete a gas e costretta a far ricorso sempre alle bombole. Segue una delle regioni più fredde, la Val d’Aosta, passando per il Molise e la Calabria.
Tra gli argomenti associati c’è la combinazione di parole “prezzo pellet 2022’” ricerca definita in “impennata” dallo stesso Google.

COS’È IL PELLET
Il pellet, tornato prepotentemente alla ribalta come combustibile destinato al riscaldamento, è un materiale prodotto dagli scarti della lavorazione del legno. In particolare trucioli e segatura, che vengono essiccati, pressati e densificati fino a formare i classici cilindri di piccole dimensioni. Il pellet viene utilizzato nelle apposite stufe che, bruciandolo, emettono calore.
Sul mercato esistono diverse tipologie di questo particolare combustibile, con caratteristiche diverse a seconda delle esigenze del consumatore.
Ma allora come fare a scegliere? Affinché la combustione non danneggi la salute delle persone e quella dell’ambiente, per produrre il pellet è necessario utilizzare soltanto legname che non abbia subito trattamenti chimici: quindi niente colla, vernici o solventi che, bruciando, sarebbero tossici. Un altro elemento da valutare prima dell’acquisto è la quantità di segatura contenuta nel prodotto: se è molto alta è più facile che i granuli si sfaldino, intasando il braciere e diminuendo la capacità calorifera. La presenza di certificazioni può aiutare nella scelta.
Il pellet viene utilizzato nelle apposite stufe e riesce a generare calore attraverso quattro fasi: essiccazione, gassificazione, combustione e formazione di cenere (quest’ultima è la parte non combustibile del prodotto).
La qualità di un pellet si vede anche dalla quantità di cenere prodotta: se è poca, significa che produce calore senza inquinare l’ambiente.
L’uso di biomasse legnose per la produzione di calore consente di ridurre le emissioni di Co2 tra l’89% e il 94% rispetto ai combustibili fossili tradizionali. Aiel (Associazione italiana energie agroforestali) ipotizza come, con le bioenergie, sia possibile potenzialmente sostituire oltre 4 milioni di caldaie ad uso domestico alimentate a fonte fossile, portando le bioenergie a coprire fino al 68% dell’energia da Fer (Fonti energetiche rinnovabili) nel settore termico e fino al 37% dei consumi termici finali.

[email protected]

© Copyright 2024 Editoriale Libertà