Minare Bitcoin inquina più dell’allevamento dei bovini e come l’estrazione di petrolio

12 Ottobre 2022 05:00

Tra il 2016 e il 2021 l’estrazione di Bitcoin, la più popolare delle criptovalute, ha provocato danni ambientali di oltre 12 miliardi di dollari, il loro uso è più inquinante dell’allevamento dei bovini e confrontabile con l’estrazione del petrolio; hanno un impatto climatico maggiore dell’estrazione dell’oro.
In tutto, le emissioni del settore sono pari a quelle di uno Stato come il Nepal o la Repubblica Centrafricana.
Secondo gli economisti, il danno climatico causato negli ultimi cinque anni dalla produzione della valuta digitale ammonta in media al 35% del suo valore di mercato, con un picco dell’82% nel 2020. L’oro, a cui spesso il Bitcoin è paragonato, impatta solo per il 4%. Cifre simili a quella delle criptovalute si registrano solo nell’industria della carne bovina (33%) e del gas naturale (46%)
Ad affermarlo è una nuova analisi realizzata da ricercatori dell’università del New Mexico, negli Stati Uniti, e pubblicata su Scientific Reports per stimare l’impatto ambientale prodotto dall’estrazione di Bitcoin, tecnica che richiede l’uso di molta energia elettrica.
Può sembrare strano ma nonostante i Bitcoin siano una moneta puramente virtuale il mercato di questa criptovaluta, la prima e ancora più importante, ha enormi costi ambientali. Ciò è dovuto al fatto che per produrre nuovi Bitcoin, un meccanismo necessario per farne proliferare il mercato e senza il quale l’intero sistema imploderebbe, richiede l’uso di calcolatori impegnati a realizzare semplici, ma lunghissimi calcoli via via più difficili al crescere del numero di Bitcoin in circolazione. Calcoli che richiedono molta energia, talmente tanta che nel 2020 – spiega lo studio – la produzione di Bitcoin ha utilizzato a livello globale 75,4 Terawatt (TWh) ora di elettricità, più di quanto consumato in un anno in una nazione come l’Austria e un quarto dell’Italia.
Le emissioni di Co2 prodotte dalla loro estrazione sono salite nel tempo di 126 volte, dalle 0,9 tonnellate per singolo Bitcoin del 2016 alle 113 del 2021 e nel complesso le emissioni prodotte tra il 2016 e il 2021 sarebbero equivalenti a danni stimati in oltre 12 miliardi di dollari.
Mettendo in relazione le emissioni prodotte dai Bitcoin con il loro valore di mercato i ricercatori hanno stimato che nel maggio 2020 i danni climatici prodotti dall’estrazione di un singolo Bitcoin ha addirittura superato del 50% il prezzo stesso della moneta. In media i costi ambientali dei Bitcoin rappresentano il 35% del loro valore di mercato, un dato vicino all’impatto dell’estrazione del petrolio (41%) e superiore alla produzione di carna bovina (33%).
Il danno sproporzionato per il clima si deve, affermano i ricercatori, al “mining proof-of-work”, cioè il processo informatico di verifica delle informazioni che consuma grandi quantità di elettricità. Gran parte di questa, il 64%, proviene da combustibili fossili, secondo l’indice più aggiornato sul mix energetico delle valute digitali dell’Università di Cambridge.
La difesa delle criptovalute
“Se è vero che il mining Bitcoin utilizza delle quantità di energia rilevanti, è altrettanto vero che nessuna industria al mondo ha fatto dei passi verso le energie rinnovabili nella stessa proporzione dei miner Bitcoin”.
A spiegarlo è l’analista Gianluca Grossi di Criptovaluta.it interpellato a proposito dell’allarme per l’impatto ambientale lanciato dai ricercatori dell’Università del New Mexico. “Non è mai facile fare conti sul presunto impatto ambientale di Bitcoin. In realtà esistono delle stime che si sono dimostrate essere o estremamente poco precise o in taluni casi addirittura eterodirette. Bitcoin ha tanti nemici, tanto all’interno del comparto cripto quanto tra governi e banche centrali ed è più che naturale che si cerchi di sfruttare qualunque tipo di angolo per attaccarlo”.
In realtà “anche grazie all’attività di consorzi come il Bitcoin Mining Council, del quale fanno parte tutti o quasi i grandi miner industriali degli Usa, la composizione dell’energia utilizzata da Bitcoin è migliorata enormemente negli ultimi mesi e continuerà a farlo. Anche le campagne di Greenpeace come Change the Code, che vorrebbe portare Bitcoin ad abbandonare i metodi inquinanti – aggiunge Grossi – e di altri non sono così indipendenti. Tra i finanziatori figurano persone legate a progetti a grandi linee rivali, cosa che inficia l’indipendenza degli studi che li sostengono. Bitcoin ha dimostrato di poter ridurre il suo impatto e di poterlo rendere addirittura negativo, come stanno facendo quei miner che utilizzano gas di recupero dalle attività estrattive che altrimenti finirebbe disperso nell’atmosfera. E sulle piazze finanziarie ci sono già fondi che acquistano Bitcoin e che compensano le emissioni con l’acquisto di crediti di carbonio”.

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