Pannelli solari in orbita:
così l’energia arriverà
sulla Terra dallo spazio
09 Aprile 2023 05:00
Un altro mito della fantascienza del Novecento sta per diventare realtà.
Sono almeno cinque le super-potenze (Usa, Cina, Giappone, Gran Bretagna e Unione europea) che stanno finanziando progetti di sviluppo del fotovoltaico spaziale, vale a dire l’installazione di pannelli solari in orbita che possano produrre energia da trasferire poi sulla Terra.
Il meccanismo è molto semplice da spiegare, ma molto più complesso da realizzare.
La produzione fotovoltaica nello spazio non è certo una novità: satelliti e stazioni orbitanti, ad esempio, da anni sono alimentate dai pannelli integrati nelle loro strutture.
Non è difficile capire come l’orbita spaziale sia l’ideale per sfruttare i raggi solari: a differenza dei sistemi terrestri, il fotovoltaico spaziale non è influenzato dalle condizioni atmosferiche o dalle stagioni, ma può produrre energia in modo costante e continuo. Il problema sorge nel suo trasferimento sulla Terra, che dovrà avvenire tramite microonde o laser. Questa tecnologia, chiamata trasmissione di energia senza fili, prevede l’utilizzo di onde elettromagnetiche irraggiate verso una stazione ricevente sulla Terra. Un’antenna, chiamata rectenna, convertirà le onde radio in elettricità, che sarà successivamente immessa nella rete elettrica.
A lavorarci sono le principali potenze mondiali. Fa ben sperare il progetto Solaris dell’Esa (l’Agenzia spaziale europea), che conta sul sostegno della Ue. Il progetto per lo Space-Based Solar Power (SBSP) sarà pronto entro il 2025.
Negli Stati Uniti, lo Space Solar Power Project sta sviluppando celle solari ad alta efficienza e un sistema di conversione e trasmissione ottimizzato per l’impiego nello spazio, mentre la Cina, grazie ai progressi in atto nella sua stazione di energia solare spaziale Bishan, ritiene che avrà un sistema funzionante entro il 2035. Il Regno Unito, invece, ha avviato un progetto da 17 miliardi di sterline, che dovrebbe condurre alla realizzazione di una centrale solare operativa già nel 2040, mentre già nel 2008 l’Agenzia spaziale giapponese aveva annunciato che entro il 2025 produrrà dei satelliti in grado di ricevere energia nello spazio e trasmetterla sulla Terra, a partire dal 2031.
GLI OSTACOLI
L’Europa consuma circa tremila terawatt di energia elettrica all’anno, fabbisogno che nel 2050 fino a 3.500 TWh.
Per ridurre la dipendenza energetica da altre fonti e da altri Paesi, la Ue crede anche nel fotovoltaico spaziale e del progetto Solaris-Sbsp di Esa, che però deve fare i conti con alcune serie problematiche.
Ogni satellite dotato di pannelli avrebbe una superficie di oltre 15 chilometri quadrati, una massa di almeno 6.000 tonnellate e si troverebbe a 36.000 chilometri dalla Terra, in modo da essere irraggiato dal sole per il Ciascuno avrebbe una capacità di 2 Gigawatt e produrrebbe circa 15,7 TWh all’anno.
Per soddisfare circa il 10% della domanda di elettricità del 2050 dell’Unione europea sarebbero necessari 20-25 satelliti Sbsp, secondo un report commissionato alla società di analisi Roland Berger. Secondo una ricerca dell’azienda britannica Frazer-Nash, il potenziale è invece di 800 TWh all’anno, perché prevede di mandare il doppio dei satelliti in orbita, cioè circa 50.
Sulla Terra la rectenna che riceve l’energia irradiata dallo spazio, composta da antenne multiple a dipolo, dovrebbe coprire un’area di oltre 71 chilometri quadrati. Secondo Roland Berger, il costo totale per la realizzazione del primo esemplare di satellite Spsb sarà di almeno 8,1 miliardi di euro, che prevede però fino a 20 anni per la realizzazione della tecnologia di trasmissione wireless dell’energia solare. Il costo complessivo del sistema per 30 anni di funzionamento sarebbe poi previsto tra 7,5 miliardi e 9,9 miliardi di euro.Frazer-Nash invece ha stimato un costo totale per 54 satelliti entro il 2070 di 418 miliardi di euro, a fronte di benefici derivanti dall’Spsb di 601 miliardi di euro.
Non solo. Sono necessarie ulteriori ricerche per sviluppare tecnologie che permettano di trasferire l’energia con un’elevata efficienza, perché le onde elettromagnetiche usate oggi possono essere soggette a dispersioni (soprattutto per un tragitto così lungo) e potrebbero anche presentare alcuni rischi per la salute umana e per l’ambiente. Senza scordare l’impatto che avrebbe la produzione di decine di migliaia di pannelli e di tutte le infrastrutture.
© Copyright 2024 Editoriale Libertà
NOTIZIE CORRELATE