Il cloud seeding torna “di moda”: inseminare il cielo per provocare la pioggia

01 Maggio 2023 05:00

Gli antichi Romani veneravano Giove come re di tutti gli Dei e lo rappresentavano con i suoi simboli originali, vale a dire il tuono e il fulmine. Inizialmente, infatti, era venerato come Divinità del cielo, Dio della pioggia, del tuono e del fulmine. Era lui a scatenare, spesso come punizione, tutti i fenomeni naturali celesti.
Da ormai tanto tempo non è più così, ma nel corso dei secoli gli uomini hanno prima cercato di capire e poi tentato di influenzare il“comportamento” del cielo.
Recentemente, a causa del surriscaldamento globale che ha portato a siccità estreme anche in Paesi mai colpiti prima, è tornata “di moda” una tecnica con la quale, almeno in teoria, si può far piovere a comando.
Niente di divino o di magico, però. Si chiama “cloud seeding”, l’inseminazione delle nuvole, e prevede la dispersione di sostanze nell’atmosfera per stimolare la formazione di nuvole e le precipitazioni.
In pratica, si fanno alzare in volo aerei che, in prossima di gruppi di nuvole, rilasciano sali idrosolubili come il cloruro di sodio, il solfato di ammonio o soprattutto lo ioduro di argento, i quali vanno a gonfiare proprio le nuvole naturali.Si formano così i cristallini di ghiaccio, i quali aggregandosi creano fiocchi di nevi, che si trasformano poi in gocce di pioggia precipitando verso il suolo.
“Abbiamo copiato ciò che la natura fa autonomamente da milioni di anni – spiega Vincenzo Levizzani dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche – seguendo il processo che sta alla base della formazione di tutti le precipitazioni: i Fisici delle nubi hanno provato a riprodurlo, in modo da rendere nubi già formate maggiormente piovose. È doveroso chiarire che non si può utilizzare questa tecnica con il cielo terso, ci vuole una nube preesistente e portatrice di pioggia, quindi non vale per tutte”.
A quel punto gli aerei si alzano in volo e tramite grandi aerosol diffondono le particelle che “inseminano” il cielo. “È opinione comune – precisa l’esperto – che naturalmente le nuove si formino dal vapore acqueo che sale in atmosfera attraverso l’aria riscaldata dal sole e che quando si supera il 100% di umidità relativa inizi il passaggio allo stato liquido e la formazione delle goccioline. Ma non è così: occorrono le particelle di aerosol atmosferico, i nuclei di condensazione, che attirano le molecole di vapore e consentono proprio la formazione delle goccioline. Tutto può avvenire anche iniziando dalla fase ghiaccio, con i cristalli che si formano a temperature ben al di sotto dello zero termico. Una volta che le goccioline o i cristalli si sono formati, collidono fra loro e formano gocce più grandi oppure i cristalli formano i fiocchi di neve che poi si sciolgono per formare le gocce di pioggia. Il cloud seeding non fa altro che gonfiare questo processo, quindi non è contro natura perché aumenta soltanto il numero di cristallini che si formano dal vapore acqueo, senza modificare la struttura della nube”.


In Italia questo metodo è conosciuto e studiato oramai da decenni, gli esperimenti più avanzati furono effettuati in Puglia, ma venne anche presto abbandonato per questione di costi molto elevati in rapporto ai risultati effettivamente ottenuti.
Ma a rilanciare questa tecnica sono tre colossi mondiali: Stati Uniti, Emirati Arabi e Cina. Negli Usa, il Bureau of Reclamation, l’ente che si occupa della gestione delle acquei, si è alleato con Utah, Colorado e Wyoming per inseminare le nuvole e aumentare la quantità di pioggia contro la pesante siccità. A Dubai, invece, si prova a recuperare terreno destinato all’agricoltura e ad alleviare le carenze idriche del Paese, mentre in Cina stanno cercando di utilizzare le piogge “indotte” anche per ripulire l’aria dal grave inquinamento atmosferico. Non eliminandolo, ma spostandolo nelle falde dei terreni.
“L’idea è buona – commenta Levizzani – tiene contro di tutte le leggi della Fisica ed è basata su studi molto seri. Ma funziona poco ed è difficilmente creare un modello universale. A priori, nessuno è in grado di dire di quanto si possa aumentare il potere precipitante di una nube o se una sostanza funzioni meglio di un’altra. Gli studi in tutto il mondo non sono mai stati conclusivi, nonostante gli esperimenti siano stati tanti, ma tutti difficilmente replicarli e misurabili con parametri applicabili ovunque. Le nubi sono tutte differenti – aggiunge – e le condizioni atmosferiche idem, quindi non si riescono avere conclusioni che possano essere validare scientificamente”.
E qui sorge un secondo aspetto, decisamente non secondario: “Tutto il processo per inseminare le nuvole costa un sacco di soldi e non c’è una corrispondenza calcolabile con la efficienza al suolo. I risultati delle verifiche non sono del tutto convincenti per giustificare investimenti milionari. In talune circostanze l’inseminazione sembra funzionare bene, in altre no. Quindi, la cosiddetta weather modification è un concetto affascinante per la Fisica delle nubi, ma la sua applicabilità è limitata, in particolare in Italia”.

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Vincenzo Levizzani

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