Il 56% delle materie prime critiche che arriva in Europa proviene dalla Cina
25 Maggio 2023 14:00
Il 56% delle materie prime critiche che arriva in Europa proviene dalla Cina.
E se il Paese asiatico interrompesse la fornitura di terre rare all’Europa, da qui al 2030 sarebbero a rischio 241 GW di eolico (47% del totale) e 33,8 milioni di veicoli elettrici (66% del totale), rendendo impossibile il raggiungimento degli obiettivi legati alle linee guida europee.
È quanto emerge dal Position Paper “Materie prime critiche e produzioni industriali italiane. Le opportunità derivanti dall’economia circolare”, realizzato da The European House-Ambrosetti in collaborazione con Iren.
Il posizionamento della Cina sulle materie prime critiche non si basa solamente sulla produzione domestica, ma anche sulla capacità di raffinazione. Qui, infatti, si raffina oltre il 90% della produzione mondiale di terre rare, di manganese e di germanio.
Non solo: tra il 2005 e il 2021 la Cina ha indirizzato oltre 80 miliardi di euro di investimenti diretti esteri verso il settore estrattivo e della raffinazione.
Si tratta di un valore pari a 2,3 volte gli investimenti pubblici europei in rinnovabili osservati nello stesso periodo di riferimento.
I primi tre Paesi in cui la Cina ha diretto gli investimenti sono Australia (26,6 miliardi di Euro), Repubblica Democratica del Congo (13,7 miliardi di Euro) e Perù (11,8 miliardi di Euro). Gli effetti di questa strategia, si legge nel rapporto, “sono visibili su materie prime critiche quali cobalto e litio, per cui la Cina detiene il 3% e l’11% della capacità mineraria globale, ma con quota che raggiunge rispettivamente il 25% e il 24% includendo le società a controllo cinese”.
All’interno di questo mercato fortemente concentrato, il Critical Raw Materials Act, emanato a marzo 2023 dalla Commissione Europea ha stabilito che, entro il 2030, estrazione, raffinazione e riciclo debbano soddisfare, rispettivamente, almeno il 10%, 40% e 15% del fabbisogno europeo di materie prime critiche, con l’obiettivo di rendere le filiere industriali più resilienti e meno dipendenti da Paesi terzi. Inoltre, al massimo il 65% delle materie prime critiche consumate potranno essere importate da un singolo Paese. Quest’anno la Commissione europea ha introdotto anche il concetto di materie prime strategiche, ovvero le materie prime necessarie per produzioni industriali che ricadono in settori di utilizzo strategici identificati in energie rinnovabili, mobilità elettrica, digitale, aerospazio e difesa.
E in Italia? I risultati dell’analisi evidenziano come il fabbisogno odierno italiano di materie prime strategiche si attesti a circa 2.782 tonnellate nel 2020, con il rame che rappresenta il 44% del totale.
Al 2040, inoltre, il fabbisogno crescerà di 11 volte rispetto a oggi, ipotizzando una specializzazione produttiva del Paese sugli ambiti dell’eolico e del fotovoltaico e una espansione tecnologica coerente con i target energetici europei.
L’economia circolare rappresenta, quindi, una leva ad alto potenziale, anche alla luce dei volumi crescenti di tecnologie low-carbon che raggiungeranno il fine vita: lo stock di prodotti riciclabili da qui al 2040 è previsto crescere di 13 volte. In questo contesto, il riciclo potrà soddisfare nel 2040 dal 20% al 32% del fabbisogno italiano annuo di materie prime strategiche, con il target del 15% fissato dalla Commissione europea che può essere raggiunto già nel 2030. Tuttavia, per raggiungere tassi di riciclo significativi e potenziare l’autonomia strategica italiana è necessario un incremento della dotazione impiantistica: The European House – Ambrosetti ha stimato che in Italia saranno necessari 7 impianti per valorizzare i prodotti che contengono materie prime critiche, per un investimento complessivo di circa 336 milioni di euro.
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