La nebbia che si trasforma
in acqua ultima frontiera della lotta alla siccità
09 Luglio 2023 05:00
Dove non c’è acqua, bisogna “inventarsela”. Così in sempre più parti del mondo, ovviamente quando le condizioni geoclimatiche lo permettono, stanno spuntando i cosiddetti “fog collector”, che tradotto letteralmente significa collettori di nebbia. Si tratta di un dispositivo progettato per raccogliere e condensare la nebbia atmosferica per ottenere acqua potabile, una tecnologia che sfrutta le particelle di acqua presenti nell’aria, trasformandole in goccioline che possono essere raccolte e utilizzate. Le strutture, dal Cile al Marocco, si assomigliano tutte: generalmente sono costituite da una rete o una griglia di materiale idrofilo (cioè che attira l’acqua) che viene esposta alla nebbia. Quando le goccioline di nebbia entrano in contatto con il materiale idrofilo, si accumulano e si combinano in gocce d’acqua più grandi. Queste gocce si raccolgono in un contenitore o attraverso un sistema di tubature e possono essere utilizzate come acqua potabile o per altri scopi, come l’irrigazione.
La tecnologia del FogCollector, brevettata, è stata sviluppata per affrontare le sfide legate alla scarsità di acqua in alcune regioni, specialmente in quelle dove la nebbia è presente in quantità significative, ma non ci sono molte fonti d’acqua dolce convenzionali. È un metodo relativamente semplice ed economico per ottenere acqua pulita da una fonte abbondante, ma spesso sottovalutata come la nebbia.
I pannelli sono spuntati un po’ ovunque. In Cile, nel deserto di Atacama (una delle zone più aride al mondo) sono stati installati per raccogliere l’umidità della nebbia costiera e fornire acqua potabile alle comunità locali. In Perù li troviamo nelle regioni montuose, come la zona di Lomas de Lachay.
Oppure in Namibia, lungo la costa del deserto del Namib, dove le piogge sono scarse, ma si può sfruttare la nebbia atlantica. E poi Sudafrica, Nepal, Tanzania, Bolivia, Kenya e California e nella regione del Sud del Marocco, ad esempio nella zona di Aït Baamrane e dell’Atlante.
Il meccanismo è relativamente semplice, ma dipende ovviamente delle condizioni geografiche. Il vento trasporta verso le reti verticali la nebbia e le goccioline vengono raccolte dalle maglie 3D per poi essere convogliate in un contenitore attraverso il quale l’acqua viene alla fine portata in un serbatoio. Soltanto per fare un esempio, in Marocco vengono raccolti in media 22 litri di acqua per ogni metro quadrato di superficie installata per ogni giorno di nebbia. Questo si traduce in 528 litri d’acqua per ogni FogCollector installato, dal momento che la superficie di ognuno è pari circa a 24 metri quadrati. A questo c’è da aggiungere che lo stesso principio vale anche per raccogliere la pioggia.
Generalmente, si utilizzano reti o griglie di materiale idrofilo come nylon, polietilene o polipropilene. La quantità di acqua raccolta dipende dalla densità della nebbia, che può variare stagionalmente o geograficamente. Inoltre, la tecnologia richiede spazi aperti e venti costanti per funzionare al meglio.
Anche in Italia recentemente si è ipotizzato l’utilizzo dei FogCollector.Qualche anno fa in Italia il Politecnico di Milano e quello di Torino aveva iniziato a lavorare su un’idea simile, che prevedeva di intrappolare e trasformare la nebbia della PianuraPadana attraverso delle reti per poi usare l’acqua in campo agricolo. Ma il progettò naufragò per la difficile applicabilità. Chissà che con il ritorno dei “nebbioni” non possa essere rispolverato.
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