Parte la battaglia al miele artificiale: “Non salva le api, almeno cambi nome”
06 Gennaio 2024 05:00
“Sì al vero miele, quello prodotto dalle api, e attenzione a quello ottenuto in laboratorio con la chimica che non porterà certo a salvare questi insetti dall’estinzione, come qualcuno può credere ma solo ad inquinare il mercato”.
A lanciare la battaglia è Riccardo Terriaca, il segretario generale di “Miele in cooperativa, realtà che rappresenta 390mila alveari in tutta Italia.
“La sfida nel prossimo futuro sarà far capire tutto questo al consumatore – aggiunge – considerando che ci sono laboratori in Israele e in Usa che da tempo sono arrivati a definire i protocolli di produzione di miele artificiale e sono pronti ad immetterlo sul mercato. Il punto non sarà vietarne la vendita, ma non chiamarlo miele, perché è un’altra cosa”.
Terriaca fa riferimento tanto al brevetto della start-up israeliana Bee-io per produrre miele artificiale senza l’utilizzo di api, come al brand americano “Bee free Honey”. Modalità di produzione che, secondo gli ideatori, non impattano sull’ambiente e sono in linea con l’alimentazione del mondo dei vegani sempre più numeroso ed esigente, perché il miele naturale è considerato un prodotto non vegano.
Progetti che piacciono agli ambientalisti, perché salverebbero le api dall’estinzione e favorirebbero anche le ventimila specie di impollinatori selvatici con cui sarebbero in contrapposizione. La maggior parte degli apicoltori alleva e tutela solo specie ben precise, che secondo alcuni ambientalisti eliminano quelle selvatiche nelle aree circostanti. Una competizione che, secondo il segretario, non è confermata da alcuna evidenza scientifica. “A differenza della carne coltivata dove si parte da cellule animali – spiega Terriaca – il miele artificiale viene creato in laboratorio con la chimica, mettendo insieme gli elementi naturali che compongono il miele e quindi gli zuccheri, gli enzimi, replicando quello che avviene nel corpo della api”.
L’obiettivo a lungo termine del progetto sarebbe quello di convincere nel lungo periodo i lavoratori del settore a sostituire le api con macchinari appositi per l’impollinazione, in modo da porre fine allo sfruttamento eccessivo degli alveari ed eventualmente porre un argine alla sparizione delle api. “Un’assurdità – conclude – anche perché l’importanza delle api non è data solo dalla produzione del miele, ma dal lavoro di fecondazione delle piante agricole che porta alla successiva formazione e crescita dei prodotti. E infine non va sottovalutato il lavoro quotidiano degli apicoltori nel presidiare, e quindi tutelare, i nostra straordinari paesaggi rurali che non possono fare a meno della presenza e della cura di chi su quel territorio ci vive e ci lavora in un’ottica di attività sostenibili e rigenerative”.
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