Per le batterie dei veicoli elettrici si studiano litio e nucleare, ma anche il latte
11 Febbraio 2024 05:00
Dagli smartphone alle automobili, passando per gli accumulatori di energia da rinnovabili, il futuro funzionerà a batterie. E su questa spinta, la ricerca si sta muovendo per ottenere dispositivi sempre più efficienti, duraturi e soprattutto sicuri. Non è una novità, infatti, che le batterie possano surriscaldarsi e, in casi rari, esplodere. Le soluzioni a questo problema potrebbero arrivare da una diversa composizione del litio, dall’energia nucleare e persino dal sale da cucina.
Il nodo della questione sono i dendriti, ovvero delle piccole strutture che si sviluppano all’interno della batteria durante la ricarica e ne provocano il deterioramento. Più nel dettaglio, si formano a partire dall’anodo, cioè l’elettrodo negativo da cui partono gli ioni di litio che migrano verso il catodo, il polo positivo la cui struttura chimica è variabile e determina tipologia e durata del dispositivo. Il pericolo nasce quando i dendriti perforano il polimero separatore, una sorta di barriera tra anodo e catodo, che ha anche la funzione di evitare surriscaldamento e corto circuiti.
Come si previene?
Batteria al litio metallico
All’Harvard School of Engineering and Applied Sciences (Seas) stanno provando a rispondere con il litio metallico. Un team di ricercatori ha inserito alcune particelle di silicio all’interno dell’anodo: gli ioni presenti sulla superficie subiscono un processo di litiazione, grazie al quale si genera una placcatura omogenea di litio metallico. In questo modo, la densità di corrente è distribuita in modo uniforme durante la carica e non si sviluppano dendriti. Aumentano sicurezza ed efficienza: questa batteria può essere ricaricata in 10 minuti per ben 6mila volte.
Batteria al sale
Ma alcune aziende stanno provando a fare un passo in più, ricercando materiali diversi ed eliminando del tutto il litio. Un alleato inaspettato è il cloruro di sodio, il comune sale da cucina, che assieme al nichel può dare vita a una batteria termica che dura fino a 20 anni. A cambiare è l’anodo, costituito da sali fusi e non più solventi organici, resistente anche a temperature molto elevate e quindi ottimo contro il rischio incendi.
Queste batterie sono pensate soprattutto per l’accumulo di energia da fonti rinnovabili, per renderla disponibile in caso di emergenza o fornirla alle reti più isolate.
Batteria atomica
Nella ricerca di un dispositivo sempre più potente e duraturo, siamo arrivati a scomodare l’energia nucleare. Nelle ultime settimane, la Cina ha fatto parlare di sé per la sperimentazione di una batteria atomica che sfrutta il decadimento radioattivo dell’isotopo nichel-63. La svolta sta nella ricarica: non serve più. Di conseguenza, l’usura è più lenta rispetto alle batterie tradizionali e la durata della sua vita è un record: 50 anni. Al momento questa batteria è pensata per supportare smartphone e tablet, ma la sua composizione modulare ne permetterebbe un adattamento ad altri usi. Per scongiurare le paure che l’aggettivo “atomico” risveglia, gli sviluppatori assicurano che non vi sono rischi per la salute e nemmeno per l’ambiente. Nel giro di 100 anni, infatti, l’isotopo di nichel decade e si trasforma in un isotopo stabile di rame, non radioattivo.
Infine, anche l’alloggiamento è importante. Il progetto tedesco SiKuBa sta lavorando a uno scheletro sicuro, leggero e sostenibile in plastica anziché metallo. Oltre alla riduzione dei costi, il vantaggio sta in un migliore isolamento termico.
Batteria organica
Materiali avanzati sempre più sostenibili, performanti, sicuri e a basso costo per una nuova generazione di batterie green: è quanto intende sviluppare Orange-Es, un progetto da 4 milioni di euro che vede in campo una partnership tutta italiana composta da Consiglio nazionale delle ricerche (capofila), Enea, Consorzio interuniversitario nazionale per la scienza e tecnologia dei materiali, Istituto italiano di tecnologia (Iit), Ricerca sul sistema energetico (Rse) e Standex international corp.
Le attività di ricerca sono rivolte allo studio di nuovi materiali sia ibridi (organici/inorganici), sia prettamente organici ottenuti da scarti dell’industria agroalimentare (caseina, siero del latte, cheratina, fico d’India e cellulosa).
L’obiettivo del progetto è quello di validare i nuovi materiali sia per prestazioni elettrochimiche, sia per incrementarne la sostenibilità ambientale, diminuendo sempre più in questi sistemi di accumulo la componente inorganica, come litio e cobalto, metalli che rientrano nella lista Ue delle 34 materie prime critiche.
Enea si occuperà della selezione di scarti e sottoprodotti naturali verificandone l’utilizzo come materie prime per produrre membrane ed elettrodi green. «Questo approccio intende ridurre le criticità legate allo smaltimento delle batterie, creando nuove sinergie industriali in accordo ai principi dell’economia circolare», spiega la ricercatrice Mariasole Di Carli.
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