Per fertilizzare i campi c’è chi usa da tempo una risorsa inesauribile: l’urina
19 Febbraio 2024 05:00
Assomigliano a cabine del telefono in plastica, gabbiotti in ferro oppure a fioriere. Sono gli orinatoi pubblici di Amsterdam, installati una decina d’anni fa allo scopo di contrastare il problema della pipì selvaggia lungo le strade o nei canali.
Oggi, però, hanno anche un’altra importante funzione: raccogliere l’urina per trasformarla in fertilizzante.
Facciamo un passo indietro – Più della metà della produzione agricola mondiale dipende dall’uso di prodotti di sintesi che integrano tre nutrienti fondamentali per le colture: azoto, fosforo e potassio. Sono composti già presenti nel suolo e nell’acqua, ma altamente volatili, al punto che le radici delle piante non riescono ad assorbirne l’intera quantità.
Vengono, quindi, utilizzati fertilizzanti industriali, i quali hanno però un gravissimo impatto sull’ambiente. Uno studio internazionale dell’Università di Torino e di Exeter ha calcolato che questi prodotti sono responsabili del 2,1% delle emissioni di gas serra a livello globale e del 10% di tutte quelle prodotte dal comparto agricolo. Le percentuali tengono conto dell’intera filiera, dalla produzione alla distribuzione.
Proprio la produzione è un tasto dolente per l’Italia: se prima della guerra importavamo la maggior parte dei fertilizzanti da Ucraina, Russia e Bielorussia, oggi restiamo dipendenti da altri Paesi come il Canada e l’Argentina.
Ma non è finita qui – I nutrienti in eccesso che le colture non riescono ad assorbire si disperdono nell’ambiente e causano un’acidificazione del suolo, una sovrabbondanza di sostanze nutritive nell’acqua che altera completamente l’ecosistema e l’aumento dell’inquinamento atmosferico. Secondo la Commissione europea, in Italia abbiamo 40 chilogrammi di nutrienti in eccesso per ogni ettaro di terreno.
E quindi perché l’urina umana? Azoto, potassio e fosforo sono naturalmente presenti in questo liquido di scarto. Vi si trovano in concentrazioni minori, ma anche più facilmente biodisponibili e dunque assorbibili dalle radici. Inoltre, è una risorsa che abbiamo già “in casa”, si può riutilizzare e non dipende dalle importazioni.
Tre motivazioni che al momento sono chiare soprattutto in Africa, il continente più dipendente dal grano e dai fertilizzanti russi e ucraini. In Paesi come Malawi e Burkina Faso hanno provato a far fronte al rischio di grave insicurezza alimentare partendo proprio da fertilizzanti bionitrati a base di urina.
Nei Paesi Bassi, invece, se ne occupa la società di gestione dell’acqua Waternet, che ha organizzato una rete di raccolta dagli orinatoi della capitale, ma anche da concerti ed eventi. Raccoglierla non è semplice perché deve essere separata dall’acqua, dall’eventuale presenza di altri elementi e depurata dai possibili residui di farmaci. Vengono poi estratti i fosfati e trasformati in stuvrite. Secondo i calcoli, questo sistema garantisce un risparmio di 400mila euro all’anno e la fertilizzazione di un’area di 10mila campi da calcio.
Ma l’Olanda non è l’unico Paese europeo muoversi in questa direzione. Nel 2022, la Francia ha messo in commercio il primo fertilizzante al mondo a base di urina umana prodotto in Europa. Ad oggi la start-up che lo ha sviluppato tratta circa 400mila litri di urina all’anno. Anche in Svezia da qualche anno è in corso un progetto sperimentale a cura dell’Università di Uppsala che ha permesso di raccogliere 70mila litri nella sola isola di Gotland tra il 2021 e il 2023. Ancora troppo pochi e troppo costosi per competere con i fertilizzanti industriali, ma è una strada che vale la pena tentare.
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