Nelle fabbriche italiane 1,6 robot ogni 100 operai: ”Ma non tolgono posti”
11 Giugno 2024 05:00
A che punto è la robotizzazione dell’industria italiana? E davvero l’automazione dei processi rischia di far perdere posti di lavoro, in particolare agli operai?
Due domande che segnano il presente e il futuro del nostro Paese, a cui ha risposto la Banca d’Italia nella Relazione annuale sul 2023.
i robot nelle fabbriche italiane
La prima risposta è necessariamente articolata: la presenza dei robot nelle fabbriche italiane è decisamente buona, se si esclude il settore automobilistico.
“L’aumento dell’impiego di questi macchinari negli ultimi tre decenni – si legge nella relazione – ha interessato le quattro principali economie dell’area dell’euro con differente intensità. A metà degli anni Novanta, in Italia i robot erano 5,6 ogni 1.000 addetti, un valore inferiore a quello tedesco (7,6), ma superiore a quello di Francia e Spagna. Nel 2021 il divario con la Germania si è notevolmente ampliato (16,4 contro 27,3), l’incidenza è scesa sotto quella della Spagna (18,3), ma è rimasta superiore a quella della Francia (15,2). La minore intensità di utilizzo di robot nel nostro Paese – precisa la Banca d’Italia – è largamente riconducibile alla diversa specializzazione settoriale. L’elevato livello di automazione di Germania e Spagna è ascrivibile al ruolo preminente che in questi Paesi riveste il comparto automobilistico. Quest’ultimo in Italia, oltre a essere di dimensione più ridotta per numero di addetti e valore aggiunto, aveva nel 2021 un’intensità robotica pari a solo il 58 per cento della media di questi due paesi. Ciò riflette la specializzazione delle aziende italiane nella produzione di componenti, attività meno adatta all’automazione rispetto all’assemblaggio di autoveicoli, e la riduzione nel numero di robot installati a partire dal 2012″.
Ma escludendo il settore automobilistico, l’industria manifatturiera italiana è la più automatizzata e la sua evoluzione nel tempo risulta simile a quella tedesca.
In particolare, le produzioni di apparecchi elettrici, di macchinari e di prodotti in metallo sono in Italia tradizionalmente più intensive nell’utilizzo di robot; a questi settori si sono aggiunti quelli metallurgico, alimentare e farmaceutico, nei quali il numero macchinari robotizzati installati, inizialmente contenuto, è cresciuto nell’ultimo decennio a un ritmo più sostenuto rispetto agli altri Paesi.
Rischi per gli operai?
L’automazione del processo produttivo ha due facce. Quella negativa, secondo alcune teorie, prevede che soprattutto nel breve periodo possa avere effetti di sostituzione della forza lavoro. Di contro, può però accrescere la domanda di nuovi profili professionali e indurre guadagni di produttività che, rafforzando la competitività e aumentando la scala di produzione, possono sostenere i livelli di occupazione nel lungo periodo.
“Le analisi disponibili – chiarisce la Banca d’Italia – mostrano che finora l’adozione di robot ha avuto sull’occupazione effetti negativi negli Stati Uniti, positivi in Francia e nulli in Germania e in Italia. Sulla base di nostre elaborazioni, in media per le quattro maggiori economie dell’area, i settori che tra il 1996 e il 2021 hanno incrementato di più l’automazione hanno avuto una crescita del numero di occupati e della produttività in linea con quella degli altri comparti. In particolare per l’Italia non emerge alcuna correlazione con l’occupazione, mentre si riscontra una relazione positiva con la produttività”.
l’intelligenza artificiale
Il tutto, all’alba di una nuova possibile rivoluzione: “L’ampliamento delle applicazioni dell’intelligenza artificiale alla robotica industriale prefigura una sempre maggiore diffusione dell’automazione che potrebbe in parte compensare la prevista riduzione della quota di popolazione attiva, anche se gli effetti complessivi sulla domanda di lavoro sono di difficile valutazione”.
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