Tra la steppa e il deserto del Gobi: Zahami è tornato dalla maratona in Mongolia
03 Luglio 2024 05:14
Sono tante le emozioni che il piacentino Simone Zahami, preparatore atletico con la passione per le imprese sportive estreme, ha vissuto nei giorni scorsi partecipando all’affascinante Mongolia Race, la maratona nel deserto del Gobi suddivisa in sei tappe per un totale di 250 chilometri, da coprire in sette giorni e rigorosamente in regime di autonomia alimentare. Per Zahami, alla sua settima gara a tappe in giro per il mondo, si tratta dell’ennesima missione compiuta.
“È difficile – spiega – descrivere ciò che si prova una volta tornati: posso solo dire che è stata un’altra grandissima esperienza. Dal punto di vista sportivo sono felicissimo, avendo chiuso la mia corsa al 43° posto su circa 180 partecipanti provenienti da trentasei nazioni diverse. Certo, le difficoltà non sono mancate: non bastavano i saliscendi a oltre millecinquecento metri di altezza, la corsa (anche di notte, con l’ausilio di una torcia frontale, ndc) tra le dune e gli incredibili sbalzi termici che passavano dai trenta ai cinque gradi nel giro di poche ore: l’organizzazione ha pensato bene di farci attraversare, praticamente ogni giorno, almeno un corso d’acqua. Non avendo il tempo di asciugarci, eravamo costretti a proseguire la corsa con le scarpe e i calzini inzuppati: questo mi è costato un bel po’ di vesciche. Nei tratti più profondi, invece, l’acqua poteva arrivare anche al bacino, per cui correvi coi vestiti bagnati fino a tarda notte”.
Peripezie che in ogni caso non hanno guastato la bellezza della gara. “La meraviglia più grande sono i paesaggi, estremamente mutevoli. Si passava dai percorsi in montagna, con quote che andavano dai 1.500 ai 1.800 metri, a praterie pressoché sconfinate.
Il deserto del Gobi, poi, è un luogo davvero affascinante: pur essendoci dune anche abbastanza imponenti e impegnative, trovi spesso alberi e vegetazione. In Mongolia, infatti, piove molto spesso, anche nelle zone desertiche”.
Dalla penna di Buzzati alla musica dei CCCP: il deserto del Gobi ha sempre ammaliato gli artisti e anche Zahami, inguaribile sportivo, non è rimasto immune al suo fascino.
“Sono due le cose che mi rimarranno impresse: la prima è la sensazione di far parte di un quadro. Nonostante corressi, avevo sempre l’impressione di rimanere fermo nello stesso punto, visto che nella prateria il paesaggio ti appare immobile e senza confini. Solo qualche cavallo ogni tanto, qua e là.
La seconda è l’essermi addormentato stremato dalla fatica nelle gher, o yurta, le tipiche tende circolari utilizzate come abitazione dai popoli nomadi. Pur essendo foderate di lana, che le rende rifugio ideale quando fa freddo, hanno una straordinaria capacità di rimanere fresche e ben aerate: tra le dormite migliori della mia vita. Lo ammetto, qui a Piacenza mi mancheranno!”.
IL SERVIZIO DI MARCELLO TASSI
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