La rivincita dell’Ortrugo
Di Giorgio Lambri 04 Marzo 2021 17:05
Ortrugo. Forse già il nome lo penalizza. Suona male. Per non parlare del fatto che quest’uva è stata lungamente considerata quasi esclusivamente “da taglio” e che il significato dialettale di “artr’uga” (da cui Ortrugo) è una sorta di diminutio, dato che vuol dire “l’altra uva”. Per questi e per altri motivi, questo vino piacentino viene ingiustificatamente considerato da molti una sorta di fratello povero della Malvasia: giusto un vinello da tavola senza pretese. Eppure è ampiamente il più venduto della provincia come numero di bottiglie ed è particolarmente presente ed apprezzato nella grande distribuzione.
Stiamo parlando di un “bianco frizzante” agile, fresco, estivo, di quelli che chiamano in automatico il secondo bicchiere. Una beva facile e gustosa, con quel colore paglierino, dai tenui riflessi verdognoli, il profumo delicato della frutta, il sapore secco o abboccato, a volte con punte finali amarognole, tutte peculiarità che ci rimandano al nostro terroir e alla nostre tradizioni. Ma anche alla convivialità e al desco famigliare. Insomma, l’Ortrugo è un vino che nella sua semplicità merita di essere conosciuto, valorizzato e… assaggiato.
Vi propongo un po’ di degustazioni, partendo da quelle che personalmente considero le migliori espressioni territoriali di questo vino. E cioè dal Tenuta Pernice, dal bouquet intensamente fruttato e dal gusto piacevolmente secco, prodotto dal 1990 e divenuto uno dei vini più collaudati della cantina della compianta vignaiola Maria Poggi Azzali.
E dal classico Spago del Poggiarello, riconoscibile dalla caratteristica legatura della bottiglia (comune anche al Gutturnio) ma anche da un naso che profuma di pesca bianca e mela golden, e da un’effervescenza pronunciata che lascia una bocca piacevolmente pulita; con persistenti sentori fruttati e un gustoso finale amandorlato.
Ottime anche le performance delle due cantine sociali con Res Alta della Cantina Valtidone (dalla bianca e briosa vicacità) e dall’Ortrugo Doc della Cantina di Vicobarone (leggermente più aromatico rispetto ai precedenti e con il merito di essere parte del virtuoso progetto “VIVA Sustainable Wine” del Ministero dell’Ambiente per misurare la performance di sostenibilità del vino italiano).
Due bottiglie di interessante complessità sono anche il Sasso Nero di Romagnoli, dal pregnante profumi di fiori bianchi e pesca melba; e l’elegante versione di Enrico Sgorbati con Torre Fornello, un po’ più delicato dei sopracitati, con note di mela verde al naso e un sorso beverino e morbido. Da menzionare anche il frutto del lavoro di una piccola ma meravigliosa cantina come Podere Gaiaschi, il cui Ortrugo si caratterizza per il raffinato e delicato equilibrio organolettico.
Da due anni presente nell’Annuario dei Migliori Vini Italiani di Luca Maroni, deve essere menzionato anche Fulgido della cantina Mossi 1558, dalla spuma fine e persistente, il naso con sentori di mela e lievi richiami balsamici e il gusto secco con tenui note agrumate. Come pure la versione dell’Azienda Vitivinicola Montesissa (Rezzano) dal finale di bocca piacevolmente amarognolo e quello di Casa Benna, che in omaggio al terroir da cui proviene (le rocce del Piacenziano) evidenzia un naso in cui si distinguono il biancospino, il fiore di pesco e alcune note minerali come la pietra focaia. Dalla Valdarda alla Valtrebbia con Bel dì delle Cantine Bonelli di Rivergaro: il terreno calcareo favorisce una buona struttura con profumi intensi ed eleganti (il nome ha un rimando lirico a Giacomo Puccini e a Madama Butterfly con “un bel dì vedremo.”
Torniamo alla Valtidone con l’Azienda agricola Zerioli e con il suo Ortrugo dal perlage fine e persistente. E poi ancora in Valdarda con Volpe di Bacco di Cantine Casabella dal profumo intenso, fruttato e floreale con note di glicine; e con il Frizzante Doc di Piani Castellani/Manzini (Castellarquato). Abboccata e più delicata (con note di mela verde e pera al naso) la versione di Ganaghello Vini, mentre quella di Cantina Santa Giustina (Pianello) si connota per un marcato sapore di mela anche al palato e per un finale agrumato e piacevolmente sapido.
Molto interessante e peculiare rispetto al resto della produzione è certamente Cianò, dalla personalità forte e allegra (come quella di chi l’ha creato, cioè Lodovica Lusenti), caratterizato positivamente dall’affinamento sui lieviti in bottiglia. Altrettanto interessante e fuori dal coro è anche l’Ortrugo frizzante di Barattieri: piacevole vivacità gustativa ed una leggera mineralità, con un finale che evoca la mandorla. Non meno importante è l’uso dell’Ortugo negli spumanti e in blend come lo strepitoso Terrafiaba di La Tosa (40% Malvasia di Candia aromatica, a donare la personalità e la ricchezza aromatica, 40% Ortrugo, a temperare l’esuberanza della Malvasia e dare maggiore finezza al vino, 20% Trebbiano, a incrementare acidità e freschezza). Altrettanto singolare ed interessante risulta le versione ferma – Colto Vitato Della Filanda di Romagnoli – realizzato con una peculiare crio-macerazione pellicolare per 48 ore: un vino soavemente profumato e con richiami francesizzanti, difficile a bottiglia schermata individuare l’uva da cui è ricavato. Sempre restando nei blend – ma nella galassia emergente dei vini naturali e in particolare dei macerati sulle bucce – ecco Campedello di Croci, al quale l’Ortrugo concorre assieme a Malvasia, Trebbiano, Sauvignon e Marsanne. E Cascinotta bianco, dell’omonima cantina di Rizzolo (Malvasia e Ortrugo), dall’approccio meravigliosamente sfaccettato e dai profumi inebrianti. Sempre in questo novero dei “naturali” fa scuola Dinavolo di Giulio Armani, ma il blend più interessante lo crea a mio giudizio Marco Cordani dell’omomina cantina di Celleri con il suo intrigante Oracolo (Malvasia, Ortrugo Sauvignon, Moscato appassito). Last but not least ecco Spigone di Azienda agricola Monferrina (Malvasia e Ortrugo) affinato in anfore di terracotta dell’Impruneta nelle cantine di Vicobarone.
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