Dalle colline del Bordeaux alle terre rosse della Val Nure due secoli di buon Sauvignon
Di Giorgio Lambri 29 Marzo 2021 17:09
Ho sempre considerato il Sauvignon come il “vino del relax”, un calmante naturale: nessuno spigolo, nessun conflitto. Parte da quel magico spicchio di Francia che sta attorno alle colline di Bordeaux e va in giro per il mondo: in altre parti della Francia, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, California e Sud America, ma anche in Italia e perfino in Valnure, dov’è – ad esempio – Stefano e Ferruccio Pizzamiglio riescono a vincere la scommessa (una delle tante) di contaminare le caratteristiche peculiari di questo vitigno con i caratteri tipici delle “terre rosse” che nutrono i loro vigneti.
Sublime il Sauvignon de’ La Tosa: meno “fru fru” di altre versioni italiche, più diretto e spontaneo. Il naso svela note di sambuco, foglia di pomodoro, pesca, agrumi e una connotante, fresca vena minerale. Il sorso è una perfetta architettura di geometria ed equilibrio con un allungo piacevolissimo, che tarda a spegnersi. Qualche sera fa l’ho sposato a “linguine con le canocchie” traendone i migliori auspici: l’intenso corredo aromatico del vino ha sposato perfettamente l’esuberanza gustativa delle “cicale” con reciproco compiacimento.
“E’ stata la famiglia Barattieri, nel 1830, a impiantare per prima il Sauvignon sulle colline della Valnure, assieme ad altri vitigni francesi – spiega Stefano Pizzamiglio – seguita nel 1865 dal fondatore de’ La Stoppa, l’avvocato Giancarlo Ageno. Noi abbiamo comprato le barbatelle nel 1983 e iniziato la produzione nel 1988, le comprammo nella zona di Gropparello, salvo poi scoprire che venivano anch’esse dai cloni di Barattieri.
Diciamo che la Valnure, grazie a questa famiglia, ha scoperto una forte vocazione per quest’uva francese. Non a caso il frizzante è un vino ormai consolidato della tradizione piacentina: ricordo che quando negli anni Sessanta venivamo in Valnure a trovare i parenti, mio padre se ne approvvigionava considerandolo tra i migliori del territorio”.
Pizzamiglio conferma che gli elementi connotanti che il Sauvignon della Valnure deve alle “terre rosse” sono la mineralità, ma anche la struttura e la sapidità. “E’ un’uva con la quale non è facile lavorare – spiega il patron de’ La Tosa – perchè patisce il caldo eccessivo e la luce diretta del sole; anche due giorni di ritardo possono inficiare il risultato del vino quindi bisogna essere molto attenti. Noi la coltiviamo con una tecnica particolare e cioè lasciando il grappolo coperto dalle foglie per mantenere un microclima più fresco, proteggere il grappolo dal sole e quindi dall’ossidazione”.
E’ dunque la famiglia Barattieri che sulle morbide pendici di Albarola ha creato la leggenda del Sauvignon della Valnure.
“Galeotto fu il viaggio di nozze di un nostro antenato in Francia e in particolare nelle zone del Bordeaux e della Loira – racconta Max Barattieri – tornò a casa portando non solo le bottiglie, ma anche le barbatelle. Teniamo conto che parliamo di un’uva nobile e costosa, che non tanti all’epoca si potevano permettere, ma con il tempo, quando veniva l’ora di espiantare le vecchie vigne, si vendevano ai contadini le marze (porzioni di pianta con almeno una gemma vitale ndr.) e così nella vallata cominciarono a “fiorire” le vigne di Sauvignon”.
Oggi Barattieri ha due bottiglie in commercio, quella storica è il Sauvignon Frizzante ottenuto da uve fermentate “in bianco”, ossia, senza le bucce, fiore all’occhiello della cantina di Albarola che negli anni ha sempre mantenuto un altissimo profilo qualitativo.
Si parte da un profumo che richiama il peperone verde per arrivare a un fresco finale di pesca e melone. Il sorso è fresco, pieno, piacevolmente acido, con una meravigliosa vivacità gustativa e una notevole persistenza aromatica. “Questa è sempre stata terra di frizzanti – prosegue Max – inizialmente il nostro era un vino riservato al conte e alla sua famiglia, ma poi si diffuse soprattutto nel secondo Dopoguerra. Inizialmente era un rifermentato in bottiglia, che con l’avvento delle autoclavi si perfezionò attraverso la presa di spuma diretta in vasca d’acciaio”. Accanto allo classico vino frizzante dal 2017 è entrata in commercio una pregevolissima versione ferma, la Berganzina. Prodotta con uve che provengono dal Rastello, il vitigno più vecchio sito appunto in località Berganzina.
“Quattro anni fa per la prima volta si è deciso di diversificarne la vinificazione, per esaltare le caratteristiche che solo un vigneto del 1962 può dare – spiega Barattieri – l’idea è quella che, attraverso una vinificazione “semplice”, si possa dare struttura, corpo e longevità anche a un vinobianco. Imbottigliato dopo circa un anno sui lieviti, viene venduto dopo almeno 6 mesi di maturazione in bottiglia”.
L’assaggio ne rivela la grande personalità, i profumi erbacei, la sussurrata aromaticità. La morale potrebbe essere che, se nell’uva c’è del “buono”, non serve il legno, basta saper vinificare con attenzione. Assaggiateli i Sauvignon della Valnure, anche se di nicchia, sono comunque una meravigliosa espressione territoriale.
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