Sette bottiglie piacentine da avere in cantina, parola dei sommelier Ais
Di Giorgio Lambri 25 Novembre 2021 17:30
Una volta approdati con il nostro bravo calice e tanta curiosità sul “pianeta vino”, non è facile orientarsi nella giungla delle guide enologiche.
Il discorso è molto semplice. Così come quando si visita una città ci si dota di una mappa per individuarne le più interessanti mete turistiche, nel momento in cui si va alla scoperta delle migliori bottiglie di un territorio è importante avere gli sherpa giusti: preparati, autorevoli, imparziali. Che non recensiscono a “invito” o solo facendosi spedire campioni di questo o quel vino, ma vanno ad esplorare le cantine ed assaggiano in loco dopo aver incontrato i vigneron ed averli visti al lavoro.
Se si parte da questo pragmatico punto di vista “l’Università” della conoscenza enologica non può che abitare nell’AIS, l’Associazione Italiana Sommellier, che della materia ha iniziato a occuparsi nel 1965 mettendo al centro della propria mission il profilo professionale che del vino è studioso e ambasciatore al tempo stesso. Perdonate il “pistolotto”, ma poiché recentemente su questa stessa rubrica ho fermamente contestato i “voti” (o meglio, le dimenticanze) di celebri guide nazionali rispetto alle produzioni d’eccellenza del territorio piacentino, sono rimasto favorevolmente colpito dal recente rendering di “Quattro Viti” 2022, il prestigioso premio AIS che segnala i “vini di eccellente profilo stilistico e organolettico”, secondo la definizione riportata nelle guida, cioè quelle produzioni valutate da una commissione di sommelier con un punteggio di oltre 90 punti su scala centesimale. L’obiettivo del premio e della pubblicazione della guida Vitae è dunque quello di valorizzare le eccellenze dell’esteso panorama vitivinicolo italiano, segnalando agli esperti del settore e ai consumatori finali le espressioni più interessanti e imperdibili di ogni regione. E guarda caso in Emilia, su dieci bottiglie che hanno meritato questa valutazione, sette provengono dalle nostre vallate.
E ci sono alcune delle più note ed apprezzate produzioni piacentine, a partire da due “storiche” etichette de’ La Tosa ed altrettante di Luretta per approdare poi alle creazioni di realtà più piccole ma non meno meritevoli come Podere Le Lame, Mossi 1558 e La Tollara. I magnifici sette della nostra provincia, non a caso, esprimono le diverse sensibilità e i diversi terroir di tre nostre vallate – Tidone, Nure e Arda – a testimoniare se ce ne fosse bisogno come questa diversità sia una fondamentale ricchezza dei vini piacentini.
Ma vediamoli nel dettaglio.
1) Il Giorgione 2013 de’ La Tollara di Cortina di Alseno (poetica Bonarda in purezza da uve stramature che si ispira nella creazione all’Amarone. Una vera chicca la cui qualità giustifica pienamente il prezzo. Colore rosso violaceo intenso brillante come la buccia di melanzana, pronto a travolgervi già dal profumo, avvolgente, sublime, con frutti rossi maturi e sensazioni floreali delicate e piacevoli. Un naso perfettamente coerente con il palato, strepitoso nella sua soave complessità, equilibrato, aromatico e speziato q.b. e con incredibili rimandi al capolavoro della Valpolicella).
2) Gutturnio Riserva La Gazza 2017 del Podere Le Lame di Bacedasco Basso (prodigioso rosso territoriale che al naso esprime un bouquet intenso di viola, prugna, cioccolato e spezie. In bocca è strutturato e complesso, grande eleganza nella quale i frutti rossi, la confettura di prugna, i tannini e le spezie si mescolano in un perfetto equilibrio gustativo lasciando un piacevole finale di note tostate di caffè e cacao)
3) Malvasia Sorriso di Cielo 2020 de’ La Tosa (consolidato e lirico biglietto da visita di Stefano e Ferruccio Pizzamiglio, la prima lettura ferma di “livello” della nostra Malvasia di Candia Aromatica realizzata nel Piacentino. Giallo dorato perfetto, regala subito al naso intensi aromi di frutta a polpa gialla e tropicale, fiori bianchi, erbe aromatiche e balsamiche. Il palato è arte: avvolge con il perfetto equilibrio tra morbidezza e sapidità, l’ammiccante persistenza finale “chiama” in automatico un secondo assaggio).
4) Gutturnio Superiore Vignamorello 2019 de’ La Tosa (altro grande classico della cantina di Vigolzone, altro prodigio delle terre rosse antiche della zona. Trama ricca e misteriosa quanta quella di un giallo di Conan Doyle, il canonico sposalizio tra Barbera e Croatina si presenta al naso con note di erbe aromatiche e grafite accompagnate da frutti rossi maturi. Il sorso è morbido e armonico con un finale minerale e persistente. Uno dei miei rossi piacentini preferiti).
5) Malvasia Boccadirosa 2020 di Luretta (altro bianco che non ha bisogno di presentazioni, uguale vena poetica di quello de’ La Tosa ma una diversa interpretazione, più fresca, giovane, “moderna” se volete. Nel bicchiere è un giallo oro affascinante che al naso dischiude subito i suoi sentori dolci di fiori bianchi. L’assaggio è molto agile ma comunque complesso, equilibrato, felicissima sapidità).
6) Cabernet Sauvignon Corbeau 2016 di Luretta (una perla della piccola ma interessante produzione di Cabernet Sauvignon del territorio, un vino che già al primo anno di comparsa sul mercato ottenne riconoscimenti assoluti. Struttura e potenza maestose, eleganza peccaminosa da femme fatale, rosso rubino intenso, naso beatamente balsamico con menta e spezie uniti che seguono a primari di bacca rossa. In bocca mora e mirtillo. Per me la punta di diamante di Luretta, il “Messi” di Lucio Salamini).
7) Vinsanto Le Solane 2008 di Mossi 1558. (Tante cantine ormai producono passiti, ma alcune lo fanno con particolare talento ed è il caso de’ Le Solane. La cantina di Marco Profumo e Silvia Mandini propone una lettura piacevolmente peculiare della Malvasia di Candia aromatica: elegante, raffinata, a partire dal vivido colore ambrato fino ai profumi, che portano verso il caffè, l’uva sultanina, la cannella. E poi quel sorso ampio, denso, pieno di rimandi al vitigno).
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