Abbiamo visto lo splendido ” A complete unknown”, il film sull’arrivo di Bob Dylan a New York, in anteprima negli Stati Uniti. In Italia uscirà il 23. Preparatevi: è imperdibile
«Bob Dylan è una figura che nasce ogni tre o 400 anni, che rappresenta e incarna tutte le più raffinate aspirazioni del cuore umano. Lui è senza pari nel mondo della musica e rimarrà una fiaccola per tutti i cantanti e per tutti i cuori per molte generazioni a venire». Le parole sono di Leonard Cohen, ma in vita mia non mi sono mai trovata più d’accordo.
Ho visto in anteprima a New York “A complete unknown” diretto da James Mangold (in uscita in Italia il 23) ed è uno dei migliori film sulla storia di un musicista che abbia mai visto, di sicuro il migliore tra i tanti “biopic” degli ultimi anni. Una delle ragioni è che non si tratta di un “biopic” in senso stretto. L’altra è che lo stesso Bob Dylan ha rivisto, uno per uno, tutti i suoi dialoghi nel film, dove a interpretarlo magistralmente – nonostante le perplessità nutrite prima di entrare in sala, poi sciolte come neve al sole – da Timothée Chalamet (con il quale lo stesso Dylan, che non è certo uno che regala complimenti, si è congratulato). Il film racconta tutta la scena Folk e le atmosfere del West Village quando il 19enne Robert Zimmerman, 2 dollari in tasca e una chitarra acustica, vi approda da Duluth, Minnesota. Più avanti, si celebra anche la musica rock, con la svolta elettrica di Dylan al Newport Folk Festival, che gli portò i fischi dei detrattori, abituati a “Blowin’ in the wind”, agli altri capolavori di The Freewheelin’ Bob Dylan (il secondo album del 1963 che lo consacra) e ai duetti con Joan Baez. A sconvolgere tutto è il sound di Highway 61 Revisited (1965), che tra le perle contiene la canzone prima in classifica nella lista dei 500 brani migliori di tutti i tempi: “Like a rolling stone”.
Ho visto il film tutto d’un fiato, lo avrei visto subito una seconda e una terza volta. Ero seduta sul gradino di una sala tutta esaurita, ma non me ne sono accorta. Era una delle tantissime sale newyorkesi in cui “A complete unknown” viene trasmesso di continuo, richiamando giovani, anziani, esperti e ragazzini di colore vestiti come i trapper di ultima generazione. Tutti a tenere il ritmo, a cantare in coro muto, gli occhi lucidi e un sorriso che si scorge anche nel buio di una sala. Fotografia stupenda, bravi gli attori. Monica Barbaro è una Joan Baez ruvida e morbida (deve essere stato utile lavorare direttamente con la Baez sul personaggio). Spicca Edward Norton: lui non recita Pete Seeger, lo è!
Il Woody Guthrie in ospedale di Scoot McNairy saluta i suoi ultimi giorni di vita ma è pieno di passione ed entra in empatia col suo “figlioccio” Bobby, tra licenze poetiche del regista – nel film ve ne sono anche altre, ma servono a narrare la genesi di un’incredibile avventura, personale e comunitaria, diventata storia americana e, un po’, di tutti noi.
Eallora, prendo di nuovo in prestito le parole di Leonard Cohen (ormai avrete capito che, oltre ad essere stato amico e collega di Dylan, è un altro dei miei cantautori preferiti). Così commentò l’annuncio del conferimento a Bob Dylan del Premio Nobel per la Letteratura: «Per me è come aver dato al monte Everest una medaglia per essere la montagna più alta del mondo».
Ed è proprio così: sopra a Bob Dylan, c’è solo il cielo.
Non mi sono scordata Suze Rotolo. E come potrei… Suze – la cui madre Maria Teresa “Mary” Pezzati era piacentina e attivista antifascista, come raccontato in passato da Libertà – è un personaggio chiave nel film così come lo fu nella vita di Bob Dylan.
Il suo personaggio in “A complete unknown” è un po’ edulcorato. Interpretata da Elle Fanning, Suze è, in effetti, la bella ragazza solare e intelligente di cui Dylan si innamora una volta a New York. Ma non emerge abbastanza che fu lei a introdurlo nel mondo dell’arte, della pittura (disciplina che più tardi Dylan coltiverà), del teatro esistenzialista e dell’impegno politico.
Saputo del tradimento con Joan Baez, in verità Suze non tornerà più da Dylan (come invece racconta il film), né lo seguirà al festival di Newport. Partirà invece per l’Università di Perugia, dove sarà un pentito Bob a rincorrerla in Italia, ormai inutilmente. Rotolo, messa in guardia dalla madre (citata nel film) poiché «quel giovane cantautore non incute fiducia», a Perugia incontra quello che nel 1967 diventa suo marito, Enzo Bartoccioli. Rimangono insieme fino alla morte di lei, nel 2011 a 67 anni, per un cancro ai polmoni. Suze ed Enzo hanno anche un figlio, Luca, che ora vive a New York.
Nella splendida autobiografia “A Freewheelin’ Time” (edita in Italia da Caissa), Suze confida di essere rimasta incinta di Dylan e di aver abortito.
Post scriptum: Bob la chiamava sempre “Suzie”, ma nel film lo stesso Dylan ha chiesto di cambiarle il nome in “Sylvie”. Un possibile motivo l’ha suggerito la cantante Mavis Staples (che appare in una scena), altro flirt del womanizer Bob: negli ultimi anni, Dylan si sarebbe risposato con l’assistente Suzie Pullen e, forse, gli pareva brutto utilizzare il nomignolo della moglie. Lui, che ha scritto «…but you break just like a little girl».
di Eleonora Bagarotti
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