Addio a Keith Tippett, un musicista puro e un uomo libero
Se n’è andato in punta di piedi, un po’ come era solito fare con la sua musica, Keith Tippett. Nei giorni scorsi il mondo ha pianto un musicista puro, che Piacenza ha avuto l’onore di accogliere in passato (al Conservatorio Nicolini, grazie a Max Marchini di “Musiche nuove a Piacenza” e a Camillo Mozzoni di “Associazione 900”).
Tippett, scomparso a 72 anni, non era solo un musicista, ma un ricercatore di suoni. Uno sperimentatore trasversale – le sue basi classiche lo portarono alla celebrità in ambito rock, ma lui alla fine si mosse verso il jazz, i quartetti d’archi, le colonne sonore, la musica contemporanea e l’improvvisazione vocale. A questo proposito, come non menzionare la sua partner di vita, la cantante Julie Driscoll (a cui va il nostro abbraccio, in questo momento). Un’affinità elettiva inscalfibile, la loro. Entrambi coraggiosi e noncuranti dello showbusiness che, per tutto il decennio degli anni Sessanta e oltre, li corteggiò moltissimo. Julie divenne un’icona grazie alle sue collaborazioni con John Baldry, Rod Stewart e soprattutto Brian Auger. Di una bellezza intensa, finì sulle copertine di tutti i magazine modaioli, oltre che musicali. Keith entrò nell’occhio del ciclone partecipando ai primi album dei King Krimson, ma in realtà aveva già formato la band Centipede (formata da 50 elementi) e pubblicato un doppio album prodotto da Robert Fripp – scusate se è poco… Molti anni dopo, tornò al concetto di grande band insieme alla moglie Julie e a Louis Moholo con il gruppo italiano Canto Generàl (di 20 elementi), con cui – tra innumerevoli tournée e registrazioni compiute – pubblicò “Viva La Black Live at Ruvo”.
Lontani dai riflettori, per scelta di libertà artistica e personale, Keith Tippett e Julie Driscoll hanno girato il mondo, visitato paesi e culture sperdute, lontani dalla Swinging London e dal Rock Progressive, corrente che per prima ha fatto emergere il talento del pianista. A Piacenza, l’apertura mentale e disponibilità di Tippett è testimoniata dalla collaborazione con l’etichetta Dark Companion, per cui ha registrato “A Mid Autumn Night’s Dream” insieme alla moglie, a Lino Capra Vaccina e a Paolo Tofani.
«Il territorio della musica è infinito – ci aveva raccontato nel 2012, in occasione del suo primo concerto solista in città -. Non ho molto da dire sull’esperienza con i King Crimson, ero molto giovane e nutro un buon ricordo anche se lontano nella mia memoria». Il desiderio di «spaziare, confrontandosi con musicisti diversi e con spettatori diversi è più forte dell’eco del passato. La musica degli anni Sessanta era un’ottima musica, la ascoltiamo volentieri ancora oggi, a dire il vero, ma io e Julie abbiamo capito subito che non volevamo limitarci a quella. Quando iniziammo ad avere esperienze elitarie, la nostra libertà espressiva si è via via amplificata. Ed è stato possibile proprio allontanandosi dalle attese, dalle ripetizioni e dai vincoli costrittivi tipici del successo planetario».
Keith e Julie sono stati una coppia anticonformista, incurante del richiamo del denaro (posizione rarissima, anche tra i grandi artisti). Nei giorni scorsi, appassionati ed esperti hanno pianto la scomparsa del musicista, che non è finito in tutti i telegiornali e neppure sulle prime pagine. E io credo che questo a Keith Tippett sarebbe piaciuto. La sua eredità è di totale libertà creativa ed esistenziale: aveva capito che il grande successo imbriglia quanto l’anonimato e optato per una scelta di qualità, anche del pubblico che lo seguiva. La sua storia merita di essere raccontata, forse in un libro o addirittura un romanzo, perché funge da perfetto contraltare a tutte le buffonate televisive che oggi pretendono di raccontarci cos’è la musica, infiocchettando buffonate.
Keith Tippett in concerto al Conservatorio Nicolini di Piacenza
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