“Babylon”, Chazelle dipinge il dualismo dell’epoca d’oro di Hollywood

Nellie LaRoy (Margot Robbie)

Hollywood, con i suoi sfarzi ed eccessi, ha sempre incantato cinefili e non. Ciò che accade sui set e fuori, infatti, è tutt’ora oggetto di curiosità e sono stati diversi i film che hanno raccontato – creando un “inception” – delle luci e delle ombre di questo mondo.

“Babylon” (2023), scritto e diretto da Damien Chazelle, è tra questi. Il film offre uno sguardo tanto critico quanto appassionato sulla vecchia Hollywood, puntando la macchina da presa sulla riproduzione dei particolari storici e una forte interpretazione dei personaggi tra cui ricordiamo Nellie LaRoy (Margot Robbie), Jack Conrad (Brad Pitt), Manny Torres (Diego Calva) e James McKay (Tobey Maguire). Il regista, perciò, conduce lo spettatore in un viaggio nel dietro le quinte dei primi film con sonoro, facendo risaltare sia la creatività sia la decadenza del cinema dei ruggenti anni ’20 e ’30.

Il film inizia nel 1926, dove l’aspirante attrice Nellie LaRoy a una festa incontra Manny Torres, che ha un ruolo minore come aiutante in una casa di produzione. Complice la morte di un’altra attrice, Nellie riesce a debuttare sul grande schermo, mentre Manny stringe amicizia con Jack Conrad, attore ormai alla fine della propria carriera. L’entrata in scena del sonoro e altri avvenimenti, conducono Nellie e Jack nella disperazione e in eccessi di ogni tipo, in quanto faticano ad adattarsi a questo nuovo modo di recitare. Soltanto Manny, per i famosi e soli 15 minuti di gloria, riesce a raggiungere alti livelli nella tossica macchina del cinema, finendo poi a sua volta in disgrazia.

“Babylon”, quindi, mostra l’energia e la passione che animavano la potente industria del cinema del periodo tra le due Guerre Mondiali, ricreando le tensioni e l’entusiasmo dei set grazie a un’attenta scelta dei costumi e alla ricostruzione delle scenografie dell’epoca.

Lo stesso inno alla vecchia Hollywood si può trovare anche nei romanzi “L’amore dell’ultimo milionario” di Francis Scott Fitzgerald e “Di là dal tramonto” di Stewart O’Nan, biografia dello stesso Fitzgerald. Anche i libri, ambientati nel medesimo periodo di “Babylon”, esplorano il dualismo dell’olimpo del cinema e della vita mondana di Los Angeles, concentrandosi sui sogni e sulle illusioni dei protagonisti tanto quanto lo fa la pellicola di Chazelle. Entrambi offrono uno sguardo disincantato sulla vita dei protagonisti dell’epoca, concentrandosi sulle loro parabole discendenti segnate da droghe, alcolismo e fallimento sia economico sia morale. Grazie a questo parallelismo possiamo addentrarci in maniera più profonda nell’essenza di un periodo di grande magnificenza e sregolatezza, dove al successo era accompagnata una forte distimia e un senso di vuoto.

Il fulcro del film di Chazelle, infatti, è la critica ai lati oscuri della Hollywood del tempo, esagerando (ma forse neanche così tanto) gli abusi e le disparità che caratterizzavano l’industria del cinema. Come si vede in diverse scene, le pressioni fatte sugli attori per mantenere il successo raggiunto portano quasi sempre ad atteggiamenti malsani e autodistruttivi. Questo si nota soprattutto

nell’intensità delle emozioni dei personaggi, che riflettono lo stato emotivo generale di un cinema che era sì al suo massimo splendore, ma che cercava in tutti i modi di nascondere il proprio lato marcio.

Per concludere, possiamo dire che “Babylon” sia un omaggio architettonico a una Hollywood in fase adolescenziale. Attraverso un susseguirsi ritmico di momenti di grande euforia e tristezza, il film riesce sia a celebrare che criticare una delle più seducenti e spietate industrie.

di Vittoria Bernini, curatrice blog Cineblister

 

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