Benedetti Michelangeli, il primo suono digitale e i concerti in Galleria

Il grande Arturo Benedetti Michelangeli, del quale lo scorso anno ricorreva il  centenario della nascita, è stato non solo una leggenda del pianismo e della musica, ma anche  uno dei primi musicisti ad aver inciso in digitale, agli albori della storia del compact disc.  Con la prestigiosa casa discografica tedesca Deutsche Grammophon, infatti, il musicista incise le Ballate op. 10 di Brahms e la Sonata D 537 di Schubert. Ebbene, quel disco è stato identificato con la sigla DDD del codice SPARS, indice che la tecnologia usata era digitale già in fase di registrazione e missaggio.
Ma Benedetti Michelangeli, il cui centenario a causa del lockdown non è potuto essere  celebrato a dovere, ha stretto un legame anche con Piacenza. E a questo proposito oggi, in via eccezionale,  ospitiamo in queste righe un amarcord del musicologo Francesco Bussi, firma storica delle  Stagioni Liriche teatrali del quotidiano Libertà.

QUANDO MICHELANGELI SUONO’ AI CONCERTI DELLA GALLERIA RICCI ODDI

Già aureolato di gloria, dalla clamorosa affermazione al Concorso di Ginevra nel 1939, il venticinquenne Michelangeli approdò a Piacenza per la prima volta il 19 novembre 1945 nell’ambito dei Concerti del Circolo della Galleria (la “Ricci Oddi”, per intenderci), esibendosi nel Salone che oggi è detto degli Amici dell’Arte, magari acusticamente non ideale, ma allora fitto di un pubblico entusiasta, non solo locale.
E qui ancora una volta occorre rammemorare quei Concerti del Circolo della Galleria che ebbero corso dall’immediato dopoguerra sino a circa il 1950 e ai quali compete di diritto l’attributo oggi abusato, ma talora di rigore: “mitici, degni che se ne favoleggi”. Oltretutto basati su un’atipica formula di autofinanziamento, cioè sui proventi di un “dancing”, come allora si diceva, alimentati dalla legittima smania di divertimento che pervase gl’italiani dopo i catastrofici anni 1940-45.
Nel programma del concerto spiccava il Preludio in do diesis minore, op. postuma (reso con indicibile abbandono, con dolente sfinimento, eppure rinserrato in un’alterabile misura classica), e due Studi op.10 di Chopin: giocato con nonchalance e l’aerea lievità di un Ariele.
Ma i benemeriti organizzatori del Circo della Galleria diedero il meglio di sé con la celebrazione del centenario della morte di Federico (sic) Chopin. Il 13 aprile 1949, in cui – come ho scritto anche nel volume “Parole e Musica: Omaggio a Giulio Confalonieri, pubblicato da Vanni Scheiwiller – si produsse un formidabile duo: Confalonieri, appunto, conferenziere autenticamente alato, depositario di luminose intuizioni critiche, e un Michelangeli tutto e solo chopiniano. A rileggere il programma di sala che  riproduce Chopin secondo Delacroix, ecco sfilare nella prima parte la “Fantasia op.49”, ancora il “Preludio” postumo, che suscitò brividi di emozione nell’uditorio, me compreso, teso in spasmodica sospensione, particolarmente alla divina cantilena del Trio della Marcia funebre, che parve evocare la “musica mundana”, e alle unisone folate, ai brividi terrei e terrificanti dell’aioristico, fantasmatico Presto conclusivo. Nella seconda parte: la “Berceuse”, di qualità eterea, innare come non mai, lo “Scherzo” in si  bemolle minore, di uno scintillio tutto interiorizzato (non paia contraddizione), poi fortunatamente fissato in disco al pari di una delle successive tre “Mazurke”, quella in si minore op.33 n.4, dal fascino decadente; e per chiudere in gloria, “Andante spianato” e grande “Polacca brillante”.
Ma non finì. La serata ebbe un seguito, con una cena esclusiva in onore del pianista a Podenzano, nella villa di quell’autentico gentiluomo di altri tempi che fu l’avvocato Piero Piatti. Anch’io, già avviato, pur con qualche tentennamento, sugli ardui sentieri della musica e diplomando in pianoforte, ebbi la ventura di essere della partita insieme a mio padre, avvocato Luigi Bussi. Ambiente raffinato, convitati eletti, cibi d’alta  cucina, che l’eccentrico e bizzoso Arturo non degnò di uno sguardo, limitandosi a sgranocchiare “crudités”, carote e finocchi sconditi, ma innaffiati con champagne, e a interloquire nella conversazione emettendo tra i denti qualche laconico monosillabo, con una finale sparata contro i critici e indirettamente contro di me, che, timido e riluttante, stentavo a ribattere. Però alla fine, sul far dell’alba, in quel parco incantato, al canto degli usignoli Michelangeli ebbe un cauto moto di resipiscenza e il commiato avvenne sotto il segno della riconciliazione.


Paganini si produsse a Piacenza tre volte (1812-1818 – 1834), Michelangeli quattro. Ma stranamente del suo ultimo concerto, stavolta al Municipale, gremito all’inverosimile, 19 ottobre 1952, di cui diede notizia “Libertà” del 13 giugno 1995 e cui sicuramente assistetti, non mi resta quasi nulla, sommerso completamente nel pelago dell’oblio, tanto più che in quell’occasione il pianista ricalcò sublimemente se stesso: “Militare” di  Beethoven, “Funebre” di Chopin, “Gaspard” di Ravel, “Variazioni Paganini” di Brahms. La grande stagione piacentina d Michelangeli si esaurì con i Concerti della Galleria.

FRANCESCO BUSSI

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