Bob Dylan come Peter Brook, la rivoluzione non ha bisogno di megafoni o cornici dorate
Inizio citando Paolo Vites, un amico collega che stimo molto. Ha scritto in un suo splendido articolo che “la bellezza non è per tutti” e questo vale, probabilmente, anche per Bob Dylan. Nei giorni scorsi, e tanti giornali lo hanno già riportato, Dylan è stato il protagonista di una manciata di concerti, ciascuno – a suo modo – indimenticabile. Infaticabile, a 82 anni non smette di suonare dal vivo, ma con una regola ferrea: il pubblico dei suoi concerti deve consegnare il cellulare all’ingresso (con qualche eccezione, di sfuggita, come testimonia l’immagine sopra). Per me è un’ottima cosa, per non dire rivoluzionaria. Tutti, ogni tanto, usiamo il telefonino durante i concerti. E spesso c’è chi guarda praticamente il concerto solo attraverso il cellulare, in un infinito video che poi, con pessima fotografia e altrettanto pessimo sonoro, posterà per la gioia (?) dei conoscenti. Bob Dylan ci fa capire due cose: la prima, che i flash, o gli eventuali squilli, disturbano i musicisti e gli spettatori stessi; la seconda è, più che altro, un suo implicito invito a vivere i suoi concerti con attenzione, concentrazione, essenzialità, trasporto.Mi concedo una riflessione, a posteriori. Ed è quella che, a parlare, alla fine è solo la musica. Quelle sue canzoni straordinarie (d’amore, di politica, dell’American songbook che ogni tanto lui ripropone come un riferimento quasi materno – non necessariamente i titoli che tutti si aspetterebbero) con fiumi di parole che sono POESIA e al tempo stesso STORIA intima e sociale. Ma anche analisi del nostro presente, attenzione e cura verso il futuro. Per alcuni, come sempre, certi atteggiamenti di Dylan sono “snob”, quando non “antipatici”. Ma non è così. Il suo concedersi al pubblico, in modo intimo e non scontato (sia a livello di scalette che di attitudine) e teatrale, è da incorniciare. Il palcoscenico minimale sarebbe piaciuto al regista Peter Brook (in foto, sopra), un’altra leggenda che ammoniva “meno è meglio” perché “aiuta a cogliere l’essenziale”. Ecco. Dylan ha soffiato i suoi Bouffes du Nord al suo pubblico. Non è dato sapere se i concerti di Milano, Lucca, Perugia e Roma del suo “Rough and Rowdy Ways Tour” saranno gli ultimi nel nostro Paese, ma comunque c’eravamo tutti. Con una sola parola rivolta al Maestro delle parole: GRAZIE.
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