Cyndi Lauper: “Voglio ancora divertirmi, ma lotto anche per chi non può farlo”

Cyndi Lauper ha davvero la voce da canarino a cui si riferisce il titolo del documentario su di lei, presentato a Torino. Tanto che viene subito voglia di chiederle di cantare. «Il canto è stata la mia salvezza, come la musica. Il mio giardino segreto, la mia forza. Non sapevo nemmeno di saper cantare fino a che non l’ho fatto e il modo in cui uscì la mia voce, bé, ha stupito anche me», ricorda Cyndi. La frase “Let the canary sing”, in realtà è stata pronunciata dal giudice che, molti anni fa, l’ha liberata da un contratto capestro con il suo manager.

Signora Lauper, da quel processo, che ha suggerito il titolo del documentario dedicato a lei alla regista Alison Ellwood, all’essere diventata la prima donna a vincere un Tony Award ne è passata di acqua sotto i ponti. Che dice?
«Non avrei mai immaginato di avere una carriera tanto lunga. Ho avuto alti e bassi, ma la musica non l’ho mai abbandonata e lei non ha mai abbandonato me, suggerendo nuovi percorsi che sono stata abbastanza intelligente da riconoscere e perseguire».

Parliamo di “Working girl”. Nel nostro immaginario è impresso il film con Harrison Ford e Melanie Griffith. Ora che sta succedendo?
«Sto ultimando l’adattamento teatrale di “Working girl”, mi sta impegnando da più di due anni. Sono molto emozionata e tengo molto alla storia poiché è una storia femminista, di riscatto sociale, di autonomia ritrovata. E d’amore, certo, infatti ho composto anche brani romantici. Ma, soprattutto, il mio focus è sulle conquiste della protagonista, che ho narrato, anche musicalmente, con stile e riferimenti più moderni e attuali. C’è ancora bisogno di cantare per la parità dei diritti!».

Ha proprio ragione… conosce il detto “Tutto il mondo è paese?”. In fondo, sua madre aveva origini italiane.
«Ho fatto una bellissima vacanza con mamma in Italia, prima del Covid. Ho notato che le donne italiane sono molto orgogliose, devo aver preso da lì il mio lato battagliero. Mi piacciono molto le donne italiane, specialmente quelle del Sud. Mamma veniva da Parlermo. E’ morta due anni fa e mi manca tantissimo».

Lei è da sempre un’icona dei diritti civili. Sente ancora forte il suo impegno, oggi?
«Sono sicuramente più matura e consapevole, ma ho subito preso a cuore i diritti civili, sin da quando il mio caro amico Gregory Natal morì di Aids. Negli Anni 80, c’era chi evitava persino l’argomento. A lui e a tutte le altre vittime ho dedicato “True colors” e mi sono resa conto, guardando il documentario di Alison, che è ancora un inno. Oggi potrei dedicarla agli emarginati, ce ne sono tantissimi in America e, a causa delle guerre, sempre di più nel mondo. E per le donne, per certi aspetti è ancora più difficile. Per questo, ho creato per loro un centro accoglienza».

L’ho vista cantare nel tributo a Joni Mitchell. Le “ragazze” vogliono ancora divertirsi?
«Assolutamente sì! Joni?E’ ancora meravigliosa. E anch’io, a 70 anni, voglio divertirmi. Anche se ho imparato a farlo con mio marito David (l’attore Thornton, ndr) con cui sono sposata da 43 anni, è così cool…».

La sua vita è più stupefacente dei colori dei suoi vestiti e dei suoi capelli!
«Nemmeno io so bene come tutto ciò sia potuto accadere, ma ogni tanto mi dico “Hey, girl, you just wanted to have fun – and you had it!”».

 

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