Claudio Abbado, l’insuperabile direttore d’orchestra con il sorriso

«La malattia è stata la mia fortuna. Mi ha spinto a concentrarmi su quel che conta davvero: la musica, gli affetti».
Claudio Abbado ha pronunciato questa frase (che, a mio avviso, è la conferma più roboante del suo essere straordinario) quando già sapeva che il cancro lo stava prosciugando nel fisico, ma non nell’energia. Anzi, si può dire che per il direttore  d’orchestra in cui il sentimento e la maieutica andavano di pari passo, l’ultimo periodo fu quello in cui raggiunse vette praticamente inaudite.
Sì, per me lui è stato il più grande. Dal punto di vista artistico, ma anche umano e sociale in Italia.
Mi limiterò a ricordare alcuni episodi – la lunga e fulgida carriera di Abbado, nato nel 1933  e morto a 81 anni nel 2014, potete trovarla in molte biografie, alcune delle quali in rete  – che sottolineano molto bene un connubio non frequente tra i personaggi molto in vista: quello tra il valore artistico e le qualità umane.

Abbado, per primo, ha rivoluzionato la musica. Intanto – e ogni riferimento è puramente casuale – dirigeva con il sorriso. E con quel sorriso, ha portato la musica nelle fabbriche, negli ospedali, nelle carceri. Ovunque ce ne fosse bisogno, perché lui – pur proclamandosi laico – ne conosceva molto bene il potere salvifico e spirituale.
Per primo, con orchestre giovanili in Europa, ha scommesso sui nuovi talenti e sono migliaia quelli cresciuti nelle tante orchestre giovanili create da lui, praticamente ovunque. E, tra queste, ovviamente l’Orchestra Mozart, che debutta nel 2004 con il suo primo concerto.
Forse perché Abbado – che è stato un titano della Scala, ma oggi qui stiamo parlando d’altro – raccontava della sua passione per la musica come di una compagna di giochi che lo seguiva sin da quando era piccolo, del padre violinista, della madre pianista, dei fratelli ma anche dei suoi compagni di corso, tra cui Zubin Metha.
E viene spontaneo ricordare anche l’amicizia di lunga data tra Abbado e Daniel Barenboim, direttore della West-Eastern Divan Orchestra, che riunisce persone provenienti da gruppi in conflitto nel Medio Oriente.
Pensate che quando la Scala, dove era stato direttore musicale dal 1968 al 1986, lo richiamò a dirigere nel 2010, Abbado chiese un cachet fuori dall’ordinario: 90mila alberi piantati a Milano.

Fedele nelle amicizie, da Pollini a Crepax, da Piano a Benigni e Magris, Abbado era meno costante in amore. Subiva il fascino femminile, ma si era sposato due volte: con Giovanna Cavazzoni e Gabriella Cantalupi. Ha avuto quattro figli, l’ultimo nato dalla sua unione con la nota violinista  Viktoria Mullova, a sua volta un musicista.
C’è chi dice che Claudio Abbado sia stato il più grande direttore d’orchestra del Novecento. Comunque la pensiate, questa asserzione è difficilmente discutibile. Quel che è certo, è che la sua lezione oggi risuona più urgente che mai. Abbado è stato capace di spingere “oltre” tutto l’universo musicale che conoscevamo. E lo ha fatto con la testa, lo ha fatto con il cuore, lo ha fatto con umiltà. Ha saputo coniugare impegno artistico ad impegno  civile, senza atteggiamenti da divo o dichiarazioni plateali.
Bastava il suo sorriso.

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