Cos’è l’Effetto Mandela? Lo strano fenomeno dei falsi ricordi collettivi

Lo chiamano « Effetto Mandela » e deve il suo nome al noto politico e attivista sudafricano, nonché Presidente del Sudafrica. Si tratta di un falso ricordo – che può essere del tutto inventato o derivante da ricordi reali, ma alterati in parte – che vede il coinvolgimento di un certo numero di persone – e dunque, altro non è che una distorsione di una memoria collettiva.

Come detto, il nome deriva da Nelson Mandela, il quale, suo malgrado, è stato “vittima” di un episodio piuttosto curioso: come molti sanno, l’attivista politico trascorse oltre un ventennio in carcere a causa dell’apartheid, da cui però uscì nel 1990. Nonostante ciò, molte persone – compresa la studiosa Fiona Broome, che portò il caso in un convegno pubblico nel 2009 – hanno ammesso in passato di ricordare che Mandela morì durante la sua detenzione, al punto da avere anche un ricordo piuttosto vivido del suo funerale negli anni Ottanta. In realtà, attestazioni dell’esistenza di questo fenomeno risalgono persino a tempi precedenti al caso di Mandela appena raccontato; tuttavia, solo agli inizi del nuovo Millennio è stato teorizzato e riconosciuto.

Si pensi che i primi casi di “Effetto Mandela” (prima ancora che venisse definito come tale) risalgono agli inizi del Novecento: negli Stati Uniti, ad esempio, ci sono molte persone che hanno ammesso di ricordare di aver visto, in occasione di una gita scolastica, gruppi di turisti sulla fiaccola della Statua della Libertà. In realtà, quella parte della statua non è stata più accessibile al pubblico a seguito di un attentato che ne compromise parzialmente la stabilità durante la Prima Guerra Mondiale, motivo per cui quello spazio è restato aperto successivamente solo ad addetti ai lavori e ai custodi. Secondo diverse teorie psicologiche e scientifiche, l’Effetto Mandela è collegato ad una moltitudine di fattori sociali e cognitivi che agisce sulla memoria umana. Quest’ultima, come sappiamo, è in grado di elaborare e conservare le informazioni nel tempo, sia nel breve che nel lungo periodo. Tuttavia, diversi fattori possono influenzare alcune aree del cervello in cui sono collocate le informazioni “archiviate” dalla memoria stessa, quali l’esperienza di vita personale, la suggestione dovuta a stimoli esterni e la mancanza di conferme recepite.

Nei casi più estremi, l’Effetto Mandela può persino compromettere i ricordi reali di una persona, la quale non è più in grado di collegare quelle informazioni lungo una corretta linea temporale, arrivando persino a distorcerle. Questo è ciò che ci raccontano le teorie psicologiche che stanno provando ad analizzare il fenomeno da un punto di vista prettamente scientifico; tuttavia, a queste si affiancano anche divertenti teorie sovrannaturali, al limite del fantascientifico, secondo cui l’Effetto Mandela sarebbe imputabile a viaggiatori nel tempo, che cambiando alcuni eventi, ne modificherebbero degli altri. Supposizioni fantasiose a parte, l’aspetto interessante di questo fenomeno è che investe anche molta della cultura popolare contemporanea, per cui esistono moltissimi esempi – in cui, forse leggendo, vi ritroverete. Tra i casi più famosi, ad esempio, c’è quello della frase pronunciata da Grimilde, la matrigna di Biancaneve, nella pellicola d’animazione disneyiana “Biancaneve e i sette nani” (1937). Molti di voi, infatti, ricorderanno la frase “Specchio, Specchio delle mie brame”: ebbene, in realtà la strega dice “Specchio, servo delle mie brame”. Parlando sempre di cinema, un altro caso di Effetto Mandela molto famoso è quello di “Guerre Stellari”: nel quinto episodio della serie (il secondo in ordine di uscita al cinema), “L’Impero colpisce ancora”, c’è una sequenza fortissima, in cui l’antagonista Darth Vader rivela all’eroe Luke Skywalker di essere suo padre. Provate a pensarci: sicuramente, la frase che vi viene in mente è “Luke, sono tuo padre”; in realtà, il personaggio dice semplicemente “Io sono tuo padre”. Altro esempio cinematografico? “La vita è come una scatola di cioccolatini” è una menzogna: Forrest Gump, interpretato da Tom Hanks nell’omonima pellicola di Robert Zemeckis del 1994, dice in realtà “La vita è uguale ad una scatola di cioccolatini”.

Pensando alla cultura popolare a 360°, se vi domandassero di che colore ha la coda Pikachu (la celebre mascotte dei Pokémon), quale sarebbe? Probabilmente, molti di voi direbbero che il personaggio ha una coda gialla con la punta nera, ma in realtà è un falso ricordo: la coda del pocket-monster è solo gialla. Uno dei casi che ciclicamen-te torna su internet è quello del logo di Fruit of the Loom, la famosa azienda di abbigliamento molto in voga tra gli anni Ottanta e Duemila. Molti sono convinti che il marchio abbia al suo interno, oltre alla frutta, anche una cornucopia; tuttavia, anche in questo caso, la memoria gioca dei brutti scherzi perché la cornucopia non è mai stata presente all’interno del disegno. Il caso di Fruit of the Loom ha persino raggiunto le aule dei tribunali, in cui – nonostante l’azienda abbia sempre negato il rebranding – molti consumatori sono convinti che il logo sia stato modificato di recente. Ultimo, ma non meno importante, l’“omino” del gioco da tavolo del Monopoly: molti, infatti, sono convinti che il personaggio abbia un monocolo, mentre l’illustratore ufficiale ha negato a più riprese di aver reso mono-occhialuto la sua creazione!

di Fabrizia Malgieri

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