È Natale, mancano solo quattro mesi agli Oscar
È Natale e io ho seguito i consigli di Paolo Mereghetti, mi sono sottratta alle proposte cinephile del figlio adolescente e ho guardato “Love actually” per l’ennesima volta e pianto di fronte a tutti quegli abbracci, a tutta quella felicità, a quel Hugh Grant francamente favoloso (anche se il mio film di Natale favorito è “Gremlins” di Joe Dante).
E’ anche quasi Capodanno e in un anno dove la stagione cinematografica è stata singhiozzante, priva di tutti i blockbuster, con liti quotidiane tra le major e i registi, e con tante uscite ancora congelate (come i nuovi film di Steven Spielberg e Wes Anderson), gli Oscar si stanno avvicinando (le candidature saranno annunciate a marzo, la premiazione sarà ad aprile) ed è già tempo di previsioni e di scontro tra piattaforme: tra i titoli che sembrano più lanciati, sicuramente ci sono il vincitore della Mostra del Cinema di Venezia “Nomadland” di Chloé Zaho , “Mank” di David Fincher (Netflix) , ma anche “Il processo dei Chicago 7” (Netflix), secondo lungometraggio di Aaron Sorkin: vi ricordate il monologo finale di Jack Nicholson nei panni del colonnello Jessup in “Codice d’onore?” L’ha scritto Sorkin, che, tra le altre cose, ha vinto un Oscar per la Miglior Sceneggiatura non Originale con quel film di cui tutti parlano come il migliore degli ultimi 10 anni, “The Social Network”. Se siete fan delle serie tv, conoscerete “The West Wing” (scritta con gli scarti de “Il presidente – una storia d’amore”) e “The Newsroom”, entrambe in tutte le liste dei migliori prodotti seriali di sempre. Sorkin è il Re dei Dialoghi, e questo “Il processo ai Chicago 7” è un film molto (brillantemente). Sorkin ha un enorme senso del ritmo e riesce a commuoverci, divertirci, farci ragionare, indignare, solidarizzare, dissociare guardando un film che per oltre un’ora si svolge in un’aula di tribunale. Una storia a forte rischio di retorica, manifestanti contro il governo, polizia, giustizia, che Sorkin gestisce con giudizio e ironia, aiutato da un grande cast (si può già parlare di candidatura agli Oscar per Sacha Baron Cohen), e da una grande scrittura. “Dentro al bar gli anni’50, fuori dal bar gli anni ‘60”, dice uno dei personaggi ricostruendo gli avvenimenti. In realtà è un film anni ’70, ed è il miglior complimento che gli possa fare.
I rumors danno tra i front runner anche “One Night in Miami” (Amazon): l’attrice Regina King (Sorella Notte aka Angela Abar di “Watchmen” e Premio Oscar 2019 come Miglior Protagonista di “Se la strade potesse parlare” di Barry Jenkins) esordisce alla regia e lo fa splendidamente, con una storia secca e serrata, precisa come un colpo di fucile. Presentato a Venezia fuori concorso, “One night in Miami” ha quattro incredibili personaggi principali, Malcolm X, Cassius Clay, il cantante Sam Cooke e la star del football Jim Brown, che passano insieme una notte intera in un hotel di periferia subito dopo lo storico incontro di Clay del 1964 contro Sonny Liston, quando il pugile ventiduenne diventò il campione del mondo dei pesi massimi. Tratto da una pièce teatrale, la sceneggiatura di Kemp Powers è un dialogo immaginario a quattro voci sul black power, i diritti dei neri, le lotte per l’emancipazione, una dialettica fatta anche di scontri, di punti di vista diversi ma di uguale desiderio di non smettere mai di combattere le continue situazioni di razzismo che si trovavano ad affrontare.
In quota black altri due titoli, “Da 5 bloods” di Spike Lee, un film nel complesso deludente ma che potrebbe avere delle chance per l’intensa interpretazione di Delroy Lindo “e la nuovissima uscita “Ma Rainey’s Black Bottom”, produzione Netflix, un film molto parlato, dove tutti i dialoghi suonano felicemente come musica, che racconta una giornata della band di Ma Rainey, famosa cantante blues degli anni’20. Il film è l’adattamento cinematografico dell’omonima pièce teatrale ed è interpretato da Viola Davis e “Black Panther” Chadwick Boseman nel suo ultimo ruolo prima di morire giovanissimo lo scorso agosto.
In caduta le quotazioni per “Tenet” di Christopher Nolan, che sicuramente porterà a casa qualche premio tecnico, mentre i tanti titoli outsider potrebbe trovare un posto “Pieces of a woman” del regista ungherese Kornél Mundruczó, che mette in scena il dolore supremo della perdita di un figlio. Il film, che arriverà su Netflix nel 2021, è un grande dramma classico, con al centro Martha (interpretata mirabilmente dall’attrice britannica Vanessa Kirby, vincitrice della Coppa Volpi a Venezia e già nota come la principessa Margaret della serie Tv “The Crown”), il compagno Sean, (Shia LaBeouf), e la madre di Martha (Ellen Burstyn): dal lunghissimo strepitoso piano sequenza iniziale del parto (25 minuti) lo spettatore viene trascinato nel gorgo emotivo del successivo disgregarsi della famiglia e del nucleo parentale che la circonda, incapace di trovare un’armonia e un conforto reciproco nell’affrontare la perdita.
Personalmente, amerei vedere qualche riconoscimento a “La vita straordinaria di David Copperfield”: Armando Iannucci è spavaldo e irriverente, uno di quei registi che hanno un gusto e una visione e una tremenda voglia di vederli entrambi sul grande schermo: prende un capolavoro di Dickens, il suo preferito, e ne fa una versione favolistica che esalta il carattere satirico dell’opera valorizzandone i momenti da slapstick comedy grazie al ritmo perfetto delle battute e tutti i momenti ludici e onirici grazie a una meticolosa messa in scena tra il cartoon, il sogno e l’ambientazione teatrale mentre sceglie di tenere in ombra il lato drammatico mantenendo alta l’attenzione sul conflitto di classe, a partire dalla scelta del suo David Copperfield, l’attore britannico di origine indiana Dev Patel, protagonista di “The Millionaire” e “Lion” e della sua sprezzantissima Signora Steerfort interpretata da Nikki Amuka-Bird, attrice britannica di origine nigeriana. Coloratissimo e brillante, il film ha un cast multietnico perfetto, armonico e scintillante, dove svettano la zia Betsey di Tilda Swinton, il Signor Dick di Hugh Laurie e il Signor Micawber di Peter Capaldi. Due ore di grande letteratura messe in scena con così tanta bellezza che ti ritrovi da sola a sorridere nel buio.
Comunque buone feste a tutti voi, e a proposito di Oscar, c’è “Soul” di Pete Docter della Pixar su Disney +.
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