Elvis Costello ha dapprima pubblicato “Suffering face”, una demo solista inclusa nel nuovissimo cofanetto “King of America & Other Realms”, poi uscito tramite UMe. Prodotto da T Bone Burnett e registrato al Sunset Sound a Hollywood il 14 febbraio 1985, il brano è stato inizialmente preso in considerazione, ma poi si è evoluto in “Crimes of Paris” sull’altrettanto brillante “Blood & Chocolate”. Ora il set di 97 brani e 6 dischi ripercorre l’odissea musicale di Elvis attraverso l’America e il suo lavoro con il collaboratore di lunga data Burnett include una rimasterizzazione del 2024, demo inedite, registrazioni dal vivo e altro ancora.
Nel frattempo Costello è negli Stati Uniti – dove vive ormai da anni -, reduce da due date alla Ridgefield Playhouse in Connecticut e alla Waterville Opera House nel Maine. «Negli ultimi tempi, inseguo l’idea di tenere i concerti in luoghi prestigiosi, ma più inconsueti rispetto alle metropoli», dice Costello, tornato più attivo che mai dopo l’interruzione di un tour nel 2018 a causa di un tumore. Una battaglia vinta, dopo un intervento e le cure, come aveva lui stesso spiegato condividendo l’insegnamento prezioso legato alla malattia: «Se state male, prima di tutto prendetevi cura delle persone che amate e parlate con i vostri conoscenti, scoprirete che non siete soli. Ascoltate i consigli del vostro medico, esprimetegli i vostri dubbi se è opportuno ma agite con la massima rapidità. Può salvarvi la vita. Credetemi, è meglio che giocare alla roulette».
Elvis, prima di tutto come sta?
«Benissimo. Tengo concerti, sono impegnato in promozioni e in varie collaborazioni. Mi sento pieno di energia, il futuro non ha limiti».
L’anno scorso in Italia ha suonato con Carmen Consoli ed è stato parecchio criticato.
«Avevo conosciuto Carmen in un programma tv e iniziato a seguire il suo percorso. Mi piaceva e da lì è nata l’idea di un’esperienza comune. Condividere il palco con lei è stata un’esperienza piacevole e interessante, proprio per la diversa provenienza culturale e di repertori. Sono sempre stato curioso nei confronti del talento femminile, infatti ho sposato Diana… (la jazzista Krall, ndr)».
Del resto, lei è un grande conoscitore della musica italiana. Le piace sempre Mina?
«Altro che! Non perdo occasione di comprare i suoi vecchi album! Nello stesso tempo, prosegue il mio desiderio di approfondire la conoscenza della musica classica, dopo le collaborazioni con Anne Sofie Von Otter ed il Brondsky Quartet, che considero tra i miei fiori all’occhiello. Adoro l’opera e il vostro Puccini!».
Per Ater Balletto ha composto “Sogno di una notte di mezza estate”, rappresentato anche al Municipale di Piacenza. Però ora è reduce dall’uscita del box “King of America & Other Realms” e ha progetti d’altro genere all’orizzonte.
«Mi piace spaziare, non escludo di dedicarmi nuovamente a qualcosa di più classico. Mai come ora mi piace condividere il palco con The Imposters e mi è piaciuto tanto riprendere l’esperienza con T Bone Burnett per “The Cowards Brothers” (in uscita venerdì). E il prossimo 10 gennaio debutterò come artista e pittore alla Wentworth Gallery in Florida».
Dalla rabbia dei suoi esordi punk a una piena soddisfazione che porta a serenità?
«Proprio così. Ho espresso la mia rabbia quando ero giovane e credo ci sia un tempo per ogni cosa. Gli anni maturi sono stati i più felici, sia nel privato che per il fatto di continuare a fare il mestiere più bello del mondo. E ho imparato l’umiltà lavorando con grandi artisti come Burt Bacharach e Paul McCartney, che sono molto più disciplinati di me creativamente. Io sono più incontenibile, mi sento trasversale e mi dedico a tanti progetti. Ma è la mia natura».
His aim is true, there’s nothing to say.
Quest’anno Elvis Costello ha festeggiato 70 anni. Una lunga carriera, la sua, che lo reso uno dei songwriter più importanti degli ultimi decenni. Un talento insolito, difficile da etichettare, capace di muoversi con agilità tra i generi e di essere a suo agio nei contesti più disparati e di collaborare con “gente” come Burt Bacharach, Paul McCartney, Brian Eno, i Roots, Tony Bennett, Roy Orbison, Chet Baker, Marian McPartland e Allen Toussaint.
Declan Patrick MacManus è il suo, quasi impronunciabile, vero nome. Il musicista è nato a Londra ma cresciuto a Liverpool – un luogo del destino, potremmo dire, dato che molti anni più tardi ha firmato una delle collaborazioni più interessanti di sempre con Paul McCartney e si dichiara un «beatlesiano verace».
Elvis Costello è una delle figure più importanti emerse dalla Scena British della seconda metà degli Anni 70 quando il Punk aveva fatto tabula rasa del passato creando le condizioni per la nascita di uno dei periodi più fertili della storia del Rock, quello della New Wave e del Post Punk.
Ciò che, però, emerse poco dopo è che Declan-Elvis non aveva alcuna intenzione di fare i conti con il passato recente: anche Costello era un tipo pieno di rabbia e aveva faticato parecchio per arrivare a incidere un disco, ma già a vent’anni era una sorta di enciclopedia vivente della musica. E non per caso. Suo padre era un musicista jazz, suonava la tromba ma cantava nelle orchestre e a casa si ascoltava di tutto. Sua mamma aveva un negozio di dischi e, sin da bambino, il futuro Elvis aveva imparato a memoria tantissime belle canzoni, coltivando il gusto per le melodie e le costruzioni armoniche.
Quando nel 1977 era già diventato Costello con “My aim is true”, il mondo ha capito subito che quello «strano tipo con la faccia da sosia di Buddy Holly» era un personaggio fuori dal comune. Quello che ha sempre contraddistinto il modo di fare musica di Costello è la ricerca di una scrittura che cogliesse l’essenza più nobile del Pop, partendo dalla lezione di Tin Pan Alley e degli autori di standard, passando per il Jazz, i Beatles, la Motown ed anche i grandi autori del Country. Ecco perché ha scritto un album con Burt Bacharach e ha firmato diverse canzoni con Paul McCartney, oltre ad avere scritto un capolavoro come “Shipbuilding”, uno dei più originali brani sulla guerra mai composti, che grazie all’assolo straziante di Chet Baker, e alla versione di Robert Wyatt, è entrato nel repertorio dei jazzisti.
La strada compiuta dai suoni squadrati della New Wave ad oggi è impressionante e, a ben guardare, non sono molti quelli della generazione di Costello ad aver raggiunto un simile status: ormai si guarda a lui come a una figura al di sopra delle parti, quel tipo di artista non fuori dal tempo, ma al di sopra del tempo – con buona pace dei detrattori ipercritici dei suoi ultimi show italiani, al fianco di Carmen Consoli. Ma prima ci sono stati il vigore degli Attractions e il lume di candela con lo splendido Steve Nieve. Tutta la sua filosofia sta in una sua bellissima frase concettuale: «Non sono nel music business, sono nel business del fare musica. Il music business è roba per i discografici e i promoter. Il mio lavoro è fare musica. Non sto spaccando il capello: se tu pensi che la musica sia solo una questione di soldi hai sbagliato, anche perché ci sono periodi come gli Anni 70 e 90 dov’era possibile fare un sacco di soldi e poi ci sono i periodi come questi anni dove è difficile anche mangiare con la musica».
Dunque, Elvis Costello ha scelto una strada diversa da quella della rockstar: ha altri interessi, ad esempio scrivere musica per balletto (in passato è venuto anche da noi, al Teatro Municipale) e partiture classiche, o curare la propria visione del mondo e della musica senza troppo pensare a fare numeri sulle piattaforme di streaming o tournée senza fine a prezzi esorbitanti.
E se questo non è essere un artista al di sopra delle parti e al di sopra del tempo, allora io non mi chiamo più Eleonora Bagarotti.
di Eleonora Bagarotti