Fabio Treves, 50 anni di palco e di incontri con le leggende del Blues e del Rock
Fabio Treves (sopra in un ritratto di Renzo Chiesa), il “Puma di Lambrate”, festeggia quest’anno, con la sua band, 50 anni di carriera e il suo tour celebrativo si fermerà il 18 febbraio all’Athena di Pontedellolio.
Effervescente, vibrante e profondamente umano, Treves libera i ricordi come acqua di una cascata: sono tantissimi gli incontri, musicali e personali, con bluesmen e rockstar.
«Il blues è la mamma del rock, sono indissolubilmente legati – spiega -. Una famosa canzone di Muddy Waters dice “The blues had a baby and they called it rock’n’roll”. Non solo: ha dato vita al jazz, al be bop, al funky, alla musica british e a tutte le sue varianti. Oltre agli aspetti musicali, ci sono poi i racconti, le leggende, le tristezze e gli incontri che uniscono i due generi».
Ci racconta il suo primo incontro con la musica?
«E’ difficile ricordare una prima volta. Mio padre era un appassionato di musica e a casa non mancavano i dischi di blues, jazz, folk, country ed anche di musica classica. Li ascoltavo tutti, sin da bambino. Dopo, negli Anni 60, arrivarono gli artisti angloamericani e la scoperta della musica rock fu molto importante, anche come attitudine, come atteggiamento nella vita. Il rock ha portato una rivoluzione sociale e culturale, quindi galeotti furono gli Anni 60!».
Quali erano i suoi artisti rock di riferimento?
«Già da adolescente ero controcorrente, quando ancora gli altri non conoscevano gli Who, io andavo a Londra a vederli suonare dal vivo. Il momento clou, per me, fu quando tornai dall’Isola di Wight, il celebre festival che si svolse nel 1970. Una volta giunto a Milano, nei primi Anni 70, rimasi definitivamente folgorato dal blues e fondai una mia band. Quella folgorazione non mi ha mai abbandonato, se sono ancora qui è perché era, ed è rimasta, una grande passione, sincera. La cosa incredibile è che poi ho incontrato tutti quei musicisti ed oggi mi inorgoglisce non solo essere considerato il padre del blues “made in Italy” ma l’aver incontrato grandi leggende: Frank Zappa (in foto sopra), Mike Bloomfield, Billy Jibbons, Bruce Springsteen, John Mayall… per me, tutto questo è la dimostrazione che la musica è fatta di sogni e le belle esperienze che ho fatto mi dicono che i sogni possono diventare realtà».
Però ci ha messo del suo. Qualche consiglio a chi ha appena iniziato a coltivare il sogno di fare musica?
«In mezzo secolo di musica, sono stato sempre me stesso. Mi producevo i dischi da solo, negli Anni 60, e andavo in giro vestito come i ragazzi in Inghilterra, infatti tutti mi guardavano in modo strano. A parte questo, va detto che il blues ha dei valori che sono unici e intramontabili. Sono passato indenne attraverso le mode, il costume. Ho fatto tanti concerti senza avere dietro un’organizzazione, qualcosa di grande ed elaborato. E voglio dire grazie a mia moglie Susanna, che è il quinto elemento della Treves Blues Band. Io rispondo personalmente alle email e alle chiamate. Costa fatica, ma mi piace così».
Quanto di attuale c’è nel blues e nel rock rispetto, ad esempio, ai generi che ascoltano oggi i ragazzi?
«Credo che molti ragazzi stiano riscoprendo la musica delle radici perché non passa mai di moda cantare di progetti, vita, rispetto, tolleranza, ambiente e persino dei difficili rapporti tra uomo e donna, guerra, solitudine, segregazione razziale, colore della pelle. E aggiungo: è una musica di pace, se la ascolti o la suoni non puoi essere un violento».
Parliamo degli artisti che ha incontrato e con cui ha suonato.
«Ognuno mi ha insegnato qualcosa, mi ha fatto crescere, non solo musicalmente. Uno dei più bei ricordi che ho è l’incontro con B.B. King in un piccolo camerino di Pistoia, solo, davanti a una bottiglia di acqua minerale e dietro a una tendina. Ero emozionatissimo, lui mi ha accolto benissimo e ha accettato di fare una foto. “Pazzesco” – ho pensato – “sono davanti a colui che ha fatto un pezzo di storia della musica e lui mi tratta come se ci fossimo visti la sera prima in pizzeria!” Se tu sei bravo, e hai fatto cose belle e importanti, non hai bisogno di tirartela. Ecco un’altra cosa che ho imparato da chi è davvero grande. Lo stesso è accaduto con l’amico Roger Daltrey. Lo vidi suonare l’armonica quando gli Who fecero il concerto al Palalido, nel 1967 e iniziai anch’io a suonarla. Lui se lo ricorda ancora oggi! Sono quegli incontri in cui non c’è bisogno di dire nient’altro, è come quando si fa l’amore. Se ti incontri con lo sguardo, lì scatta qualcosa. Io cerco di fare lo stesso nel mio piccolo e di passarlo ai giovani che fanno musica».
di Eleonora Bagarotti
(Nella foto sopra Fabio Treves con John Mayall e Claudio Trotta)
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