Final Fantasy VII rinasce, a 27 anni dall’originale è sempre un classico
Sono pochi i videogiochi del passato che riescono ad essere di tendenza ancora oggi. Questo perché, nonostante i cambiamenti grafici e tecnologici a cui si è assistito nel tempo, vantavano un carattere avveniristico già all’epoca in cui sono stati realizzati. Tra questi, c’è “Final Fantasy VII” (FFVII), un gioco JRPG (Japanese Role-playing Game) pubblicato nel lontano 1997 sulla primissima PlayStation e che cambiò il mondo del gaming per sempre.
La sua narrazione intrigante, arricchita dalla presenza di personaggi complessi e da temi straordinariamente contemporanei, ha permesso ai suoi sviluppatori di pensare ad un riadattamento per le console di nuova generazione, e con una grafica che si allontana (parecchio) dai poligoni goffi e dalle espressioni facciali eccessivamente enfatizzate di metà di anni Novanta. Il gioco – che è stato suddiviso in tre atti in vista della sua nuova messa in forma – ha già assistito alla pubblicazione dei primi due capitoli: il primo è stato “Final Fantasy VII: Remake” nel 2020, mentre il successivo, “Final Fantasy VII: Rebirth”, è uscito appena lo scorso 29 febbraio. Un’opera immensa, quella avviata dal team di Square Enix – il quale, per l’occasione, ha riunito gli sviluppatori originali e una squadra di lavoro ex novo, composta da chi quel titolo lo ha giocato (e amato) durante la sua adolescenza – e che ha l’ambizione di restituire quella che era l’idea originale dietro il progetto di “FFVII” e che, per ovvi limiti tecnologici dettati dall’epoca in cui è stato pubblicato per la prima volta, non andò a totale compimento.
Sono diversi i motivi per cui il capolavoro di Square Enix (all’epoca, SquareSoft) è considerato una delle pietre miliari del videogioco contemporaneo. Oltre al fatto di vantare il merito di aver reso mainstream il genere JRPG su console al di fuori del Giappone, vendendo ad oggi oltre 14 milioni di copie in tutto il mondo, “FFVII” viene spesso ricordato per le sue importanti innovazioni da molteplici punti di vista.
In primo luogo, per la sua trama dai contorni cyberpunk, che proveremo a riassumere in poche parole: la vicenda prende il via a Midgar, una città post-industriale molto simile alla Los Angeles di “Blade Runner”, in cui il protagonista Cloud Strife è un soldato mercenario che offre i suoi servigi in favore di un’organizzazione di ecoterroristi, chiamata Avalanche. Quest’ultima è intenzionata a fermare le attività sospette di una azienda chiamata Shinra, che da tempo sfrutta in modo massiccio e sconsiderato l’energia derivante dal sottosuolo, chiamata Mako. Tuttavia, andando avanti nella storia, l’Avalanche e Cloud si troveranno ad affrontare diversi ostacoli, a partire dallo scontro con un soldato di nome Sephiroth, che è l’antagonista principale del videogioco. La modernità che permea l’esperienza di “Final Fantasy VII” è affascinante: ciò che oltre vent’anni fa sembrava un tema quasi da libro di fantascienza rappresenta oggi uno degli argomenti (reali) più dibattuti a livello mondiale, ossia quello dello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali.
In particolare, l’accento su questa problematica è stato opportunamente approfondito in occasione di “Final Fantasy VII: Remake” e conferma quanto la scelta di Square di ripubblicare questo videogioco classico in chiave contemporanea sia significativa e possa rappresentare un’occasione per sensibilizzare il pubblico, a partire da quello più giovane, su un tema così drammaticamente vicino a noi.
L’altra grande novità – all’epoca inedita per il mondo dei videogiochi – è stata la scelta di propendere per un protagonista che, progredendo nel titolo, si rivela un narratore inaffidabile. La categoria del narratore inaffidabile viene riconosciuta per
la prima volta da Wayne C. Booth nei primi anni Sessanta, nella sua opera “Retorica della narrativa”, per cui si intende quel tipo di narratore il cui racconto è chiaramente o presumibilmente (in parte o del tutto) inattendibile per il lettore/ ascoltatore – in letteratura, abbiamo diversi esempi come in “American Psycho” o “Il giovane Holden”, così come nel cinema con “Memento” o “Quarto Potere”. Tuttavia, non è detto che l’inaffidabilità del narratore sia intenzionale, o ancora che l’autore non possa instillare qualche dubbio nel fruitore dell’opera. Senza addentrarci in eventuali spoiler per non rovinare l’esperienza a chi non ha giocato l’originale o queste due nuove riedizioni, questo aspetto creò un inevitabile senso di smarrimento nel giocatore, il quale per la prima volta si trovò ad interpretare un personaggio che, per una serie di ragioni, stava “sabotando” lo sviluppo della trama.
E poi ancora, c’è il comparto grafico di “Final Fantasy VII”, che per l’epoca risultò rivoluzionario: questo perché il gioco è stato il primo della serie a utilizzare filmati in full motion e computer grafica 3D, con modelli di personaggi 3D sovrapposti su sfondi pre-renderizzati in 2D – basta dare un’occhiata al filmato introduttivo del gioco su Youtube per comprendere la modernità di questa esperienza videoludica già nel 1997.
E perché, dunque, farne un remake se “Final Fantasy VII” è ancora così attuale e di tendenza? La risposta l’ha data Yoshinori Kitase – producer del nuovo gioco, ma game director del FFVII originale – qualche settimana fa, in occasione del lancio di “Final Fantasy VII: Rebirth”: « L’idea venne a me e a Shinji Hashimoto guardando “Advent Children” (il film d’animazione prequel di “FFVII”, ndr) ed entrambi pensammo che sarebbe stato fantastico poter giocare a “Final Fantasy 7”, ma con la stessa qualità grafica di “Advent Children”. È una sensazione che abbiamo avuto per diversi anni e che si è accumulata nel tempo, che si è realizzata solo con Play-Station 4 (…) permettendo, così, a nuove generazioni di giocatori di conoscere “FFVII” con la grafica e l’esperienza ludica di oggi». Perché il cuore di “Final Fantasy VII” – quello vivo e pulsante che anima il gioco del 1997 – non è stato minimamente toccato: sia “Remake” sia “Rebirth” nutrono profondo rispetto per l’opera originale, nonostante abbiano espanso e ammodernato molti suoi elementi. Questo perché, e lo abbiamo detto in apertura, la portata rivoluzionaria che caratterizzò FFVII al suo debutto vive i suoi effetti ancora oggi, segnando un “prima” e un “dopo” “Final Fantasy VII”: quanti videogiochi del passato possono dire altrettanto?
di Fabrizia Malgieri
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