Get Back, il grande ritorno dei Beatles e delle nostre emozioni
C’è un gran sgorgare di emozioni, in questi giorni, con l’arrivo del docufilm “Get Back” a cura di Peter Jackson sulla piattaforma Disney+. Sui social si sviluppano continuamente commenti stupefatti e accesi dibattiti.
Il dato “curioso” è che la novità legata al documentario è quel periodo finale dei Beatles, quello delle sessioni di registrazione per girare un film diretto (all’epoca) da Michael Lindsay-Hogg e per preparare quello che, di lì a poco, sarebbe rimasto l’ultimo concerto dei Beatles sul tetto della Apple. Una manciata di quelle canzoni è finita nell’album “Let It Be”, altre ancora in “Abbey Road”.
Era il 30 gennaio 1969 eppure, nei nostri cuori, sembra ieri…
(Paul McCartney)
In contemporanea con il documentario, è uscito anche un bel volume con tutti i dialoghi in Italiano e le immagini esclusive di quei giorni, alcune delle quali selezionate dal regista e Premio Oscar che ha curato “Get Back”. Peter Jackson ne ha parlato in un’intervista rilasciata al quotidiano “Libertà”, in cui svela tutti i retroscena del progetto, il suo coinvolgimento – anche personale e non solo professionale – ed il rapporto con i due produttori Ringo Starr e Paul McCartney, ai quali si sono aggiunte le vedove di John Lennon e George Harrison.
Ritroviamo un John Lennon fisicamente poco in forma (sappiamo che quello fu un periodo difficile, a dispetto della stretta vicinanza con Yoko Ono) ma dall’arguzia superlativa. Molto sensibile, inoltre, il dialogo che apre la seconda delle tre parti del documentario di Jackson: John e Paul si ritrovano a pranzo e non sanno che, dentro a un vaso di fiori, i tecnici hanno inserito un microfono che li registra. Il tema è l’addio che George Harrison ha detto alla band due giorni prima (poi tornerà, anche se conosciamo già il finale di tutta la storia). John fa una disanima psicologica profondissima, prendendo le parti di George, facendo una lucidissima autocritica.
Poi c’è McCartney, un re assoluto, e si capisce subito, anche solo nei primi 5 minuti, che è un Mozart classe 1942.
Che altro aggiungere? Forse giusto l’insofferenza di Harrison all’idea di restare confinato, come autore e musicista sopraffino, tra due personalità che lo mettono in ombra (si rifarà con “All Things Must Pass”) e lo zelo di Ringo Starr, che qui si rivela, a riprova di tante idee limitanti espresse in passato su di lui, un batterista con i controfiocchi e un grande professionista dal cuore buono e dalla disponibilità infinita.
E la musica. Aaaaaah, la musica… tutte quelle canzoni straordinarie che nascono quasi dal nulla, dall’incrocio di idee e sensazioni, oltre che da ore ed ore di prove in cui Macca è una “macchina da guerra” in cerca di perfezione, insieme all’ingegnere del suono Glyn Johns e al mitico produttore George Martin. Sogno, libertà e rigore.
Ciò che “Get Back” ha ricostruito è una famiglia, con tutte le sue dinamiche esistenziali e creative. Una straordinaria famiglia, umana e musicale, che ha cambiato definitivamente la storia e, nel nostro piccolo, la vita di tanti di noi.
Per questo, continuiamo a parlarne.
(Ringo Starr)
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