“Goonies” per sempre. Che tesoro prezioso le avventure anni ’80
In occasione del centesimo anniversario dei Warner Bros. Studios, la casa di produzione fondata da Albert, Sam, Harry e Jack Warner costituita ufficialmente il 4 aprile 1923, durante l’anno sono ritornati in sala diversi titoli iconici, da “Il mago di Oz” a “Gremlins”. Questa settimana è il turno de “I Goonies”: uscito in Italia nel 1985, anche a una seconda visione, quasi quarant’anni dopo, il film mantiene intatto il sapore squisitamente eighties delle caramelle, dei dolcetti, del cinema al sabato pomeriggio con gli amici, del canonico lieto fine che vede il trionfo dei buoni e la punizione dei cattivi. È così eighties che ti fa venire voglia di mettere nel videoregistratore una cassetta di Jane Fonda, indossare body e scalda muscoli e lanciarti in una scatenata lezione di aerobica. Merito di una strategica e fortunata collisione di fattori, che comincia dalla scrittura, dal soggetto di Steven Spielberg (anche produttore e grande nume tutelare del film, che è a tutti gli effetti un prodotto spielberghiano) che si trasforma in sceneggiatura grazie a Chris Columbus (sceneggiatore di “Gremlins” di Joe Dante, che viene citato nel film, e poi regista sia di “Mamma, ho perso l’aereo”del 1990 che del seguito “Mamma, ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York” del 1992), in pellicola per mano di Richard Donner, e in spettacolo per merito di uno strepitoso cast di attori, alcuni dei quali sono ben presenti, da adulti, nell’immaginario collettivo contemporaneo.
Il dodicenne Mikey Walsh (Sean Astin, il Samvise Gamgee della saga de “Il Signore degli anelli”) e suo fratello maggiore Brandon (Josh Brolin, attore dalla filmografia lunghissima, che ricordiamo tra i protagonisti di “Sicario, “Soldado” e più recentemente come Thanos, spietato villain degli Avengers) vivono nel quartiere dei Goon Docks, nella cittadina di Astoria, nell’Oregon. La zona è destinata a una vasta ristrutturazione, e i Walsh stanno cominciando a impacchettare per trasferirsi altrove, un destino che sta per coinvolgere tutte le famiglie della zona. E quindi, quando in soffitta Mikey trova la mappa del tesoro del pirata Willy l’orbo, comincia a sognare di poter salvare Goon Docks e convince Data (Ke Huy Quan), Chuck (Jeff Cohen) e Mouth (Corey Feldman) a seguirlo in un’avventura alla ricerca del tesoro. Brandon e le sue amiche Stephanie e Andrea li accompagnano cercando di proteggerli, ma sulle loro tracce c’è anche la pericolosa famiglia criminale italoamericana dei Fratelli. Il fiducioso pensiero magico dei Goonies somiglia a quella dei losers di Stephen King, i perdenti di “It” che pensano di poter sconfiggere con una fionda è un proiettile d’argento il mostro mangiatore di bambini che vive sotto la città, e a quella dei ragazzini di “Stand By Me” che vanno alla ricerca del corpo di Ray Brower nel film di Rob Reiner del 1986 (dove peraltro ritorna Corey Feldman). Certo, i ragazzini che si muovono nei film tratti da King si muovono in zone oscure, mentre le caverne dei Goonies non fanno paura, semmai lasciano a bocca aperta per il meraviglioso lavoro di artigianato e ricordano un enorme parco di divertimenti, di quelli dove scivoli giù da una cascata urlando e quando arrivi all’uscita puoi ritirare la foto. Ma sono tutti titoli che fotografano quel momento unico e irripetibile tra l’infanzia e l’adolescenza in cui tutto ti sembra possibile perché i tuoi amici sono con te e insieme potete credere a tutto e fare qualsiasi cosa, anche volare con la tua bicicletta nascondendo un piccolo e tenero alieno buono nel cestino. Visto oggi, “I Goonies” si conferma come un grande classico del cinema d’avventura: si percepisce fortemente l’impronta spielberghiana alla Indiana Jones contaminata con il cartone animato alla “Bianca e Bernie” al quale unisce il senso del ritmo tipico di Richard Donner, diventato poi famoso per la saga di “Arma Letale”. Dal franchise dell’archeologo interpretato da Harrison Ford il film mutua anche uno dei protagonisti, Ke Huy Quan, che passa da interpretare Shorty in “Indiana Jones e il tempio maledetto” al Data dei Goonies per poi finire nell’oblio fino all’Oscar dello scorso anno per “Everything everywhere all at once”.
Questo processo continuo di contaminazione ha contribuito a costruire intorno a “I Goonies” lo status di film di culto, che è arrivato per germinazione fino ai giorni nostri, tanto che i ragazzini, protagonisti e co-protagonisti, hanno le stesse caratteristiche fisiche e comportamentali dei personaggi di “Stranger things”, la famosa serie prodotta da Netflix e firmata dai fratelli Duffer che si nutre fortemente del cinema per ragazzi degli anni’80: la banda composta da quattro preadolescenti ricalca chiaramente la composizione dei quattro Goonies, Nancy e Barbara derivano direttamente da Andrea e Stephanie, fino all’omaggio più dichiarato, ovvero la comparsa di Sean Austin nella seconda stagione. Ma mentre la serie si fa sempre più cupa di stagione in stagione, “I Goonies” rimarranno sempre congelati lì, in un grande parco giochi del divertimento.
di Barbara Belzini
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