Guardaroba Armani e Mercedes cabrio nera, Gere gigolò entra nel mito di Hollywood

Gere scherza con lo stilista Giorgio Armani – photocredit courtesy of Giorgio Armani

È il primo febbraio 1980 quando esce nelle sale Usa “American Gigolò”, mentre in Italia la pellicola arriverà ad agosto per rendere ancora più hot un’estate già caldissima. Il film cult del regista Paul Schrader (sceneggiatore di “Taxi Driver”) ha come protagonista un trentenne Richard Gere, bello da far girare la testa, fieramente al volante di una Mercedes cabrio nera. Sembra incredibile, eppure il divo non fu la prima scelta dell’autore che avrebbe voluto Christopher Reeve. La parte non convinse però l’attore e “Superman” rifiutò un contratto da un milione di dollari. Il regista offrì successivamente il ruolo a John Travolta, ricevendo tuttavia un altro no. Spaventati dalle scene di nudo integrale? Chissà, può essere….
Fonte di ispirazione per Schrader fu il film francese “Diario di un ladro”, realizzato vent’anni prima dal regista Robert Bresson: evidente il richiamo all’originale nelle scene finali (di più non sveliamo perché qui sono vietati gli spoiler).
“American Gigolò” è un classico film noir nel quale si racconta la storia di un accompagnatore per signore, invischiato in un misterioso omicidio nella Los Angeles tutta apparenza, lustrini e ricchezza ostentata. Autentico film-simbolo degli anni Ottanta che ne anticipa, agli albori del decennio, il trionfo del gusto edonista, il consumismo, la fascinazione per il corpo e della bellezza, un mondo fatto di apparenza, “superficiale” e sensuale, quanto la nudità del bel Richard.

Richard Gere nei panni di Julian Kay, seducente gigolò di Los Angeles

Julian Kay (Gere) è il protagonista, il suo lavoro è quello di dare piacere alle ricche e annoiate donne dell’alta società. Il nostro gigolò inizia una relazione con Michelle Stratton (Lauren Hutton), moglie di un senatore della California; di lì a poco l’accompagnatore scopre che una delle clienti è stata uccisa. Il detective Sunday (Hector Elizondo, Gere lo ritroverà in “Pretty Woman”) inizia a indagare. Innocente ma senza un alibi, Julian capisce di essere finito in una diabolica trappola.
Il film fu prodotto da Jerry Bruckheimer che durante gli anni Ottanta sforna blockbuster come “Flashdance”, la trilogia “Beverly Hills Cop” e soprattutto “Top Gun” con Tom Cruise.
Assolutamente iconico, come detto, a partire dalle musiche realizzate da Giorgio Moroder che, con il brano “Call me”, (cantato da Debbie Harry, leader della band Blondie), ricevette una candidatura ai Golden Globe (il premio andò a “Fame”). La canzone in origine era stata offerta a Stevie Nicks, la voce dei “Fleetwood Mac”, ma lei declinò e Moroder ripiegò (si fa per dire) su Debbie. Entrato nella storia del pop il ritornello in italiano (“Amore, chiamami”) e in francese (“Mon chéri, appelle-moi”).
Un altro Giorgio risplende sin dai titoli di testa: parliamo ovviamente di Armani. Lo stilista piacentino conquistò Hollywood con il guardaroba tagliato su misura per far entrare Gere nel mito. Armani disegna per il protagonista abiti eleganti e chic – il completo più celebre fu addirittura ribattezzato “American Gigolo’s suit” – mostrando al mondo intero il glamour “made in Italy”. Pochi minuti di film e Re Giorgio rivoluziona il concetto di eleganza maschile.

Lauren Hutton, Richard Gere e Giorgio Armani a Londra – photocredit Dave Benett

Oltre a lanciare l’attore come star del cinema mondiale, il film diventa una delle prime pellicole mainstream di Hollywood a mostrare la nudità integrale del protagonista. “American Gigolò” è probabilmente l’opera migliore di Schrader, regista specializzato a raccontare inferni dove talvolta si riesce a uscire grazie alla forza redentrice dell’amore. Secondo i detrattori, la pellicola non sarebbe invecchiata benissimo, sotto il peso di un’estetica troppo legata alla decade degli 80’s. Ma una cosa è certa a proposito di “American Gigolò”: se è facile dimenticare la trama o certi personaggi secondari (così come le atmosfere) rimane assolutamente indelebile la bellezza di Julian/Gere sex-symbol. L’impatto che ha avuto la pellicola sul pubblico è stato enorme e il suo successo ha cambiato il modo di guardare gli uomini e di considerarli meri “oggetti”.
Nel 2022 il film è anche diventato un serial tv in otto episodi targati Paramount+. Ma ha senso portare ai giorni nostri qualcosa che è stato cult negli anni ’80? Probabilmente no. Perché quel cult era tale in quanto figlio di un’epoca, di un mondo, ora è qualcosa di diverso che avrebbe potuto avere anche un altro titolo invece di avere quello di Schrader.
Quarant’anni dopo “American Gigolò”, Schrader ha ritrovato Gere per “I tradimenti (Oh, Canada)” in concorso all’ultimo festival di Cannes: nel cast anche Uma Thurman e Jacob Elordi. È la storia del documentarista Leonard Fife (Gere), americano di sinistra che giovanissimo si rifugiò in Canada per evitare la chiamata alle armi in Vietnam.
Dieci giorni fa Gere è sbarcato sulla Croisette elegantemente fasciato in un tuxedo Armani da togliere il fiato. Per molti fan le lancette del tempo sono tornate al 1980. L’anno di “American Gigolò”, film magari imperfetto che però conserva un tocco di eleganza indiscutibile. Io l’ho rivisto ieri sera e adesso – vogliate scusarmi – corro a riascoltarmi la magnifica colonna sonora, ovviamente su vinile.

di Massimo Cavozzi

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