Il nuovo album di Sting è un bel regalo d’autunno
Chissà se anche voi siete cresciuti con la musica di Sting (e dei Police). Se siete stati ragazzi quando lui cantava il dolore delle madri cilene mentre ballano la Cueca tenendo tra le mani la fotografia dei loro figli desaparecidos (The Dance Alone – Cueca Solo, 1987). Se a furia di ascoltare un vinile intitolato “The Dream of The Blue Turtles”, a un certo punto avete dovuto cambiare la puntina del vostro stereo. Se avete ballato i primi lenti sulle note di “…Nothing Like The Sun” e pianto all’ascolto di “The Soul Cages”, dedicato al padre da poco mancato (Why Should I Cry For You?). Ed è chiaro che non è finita qui.
Anzi, a dire il vero tutto è iniziato molto prima. E non solo con i Police (Santo cielo, che suono! Che energia! Riascoltateli ora e sentirete cose che, magari, all’epoca avevate dato per scontate – ne riparleremo in futuro). E’ iniziata con una chitarra che “milkman son” (letteralmente “il figlio del lattivendolo”, così lo chiamavano i bulli a scuola quando Sting era un ragazzino e si faceva chiamare ancora Matthew) ricevette in dono dalla madre. E, naturalmente, tutto è partito anche da un sogno più grande di lui, ma non del suo talento, coronato poi da una viscerale, primaria passione per il Jazz (poi sfociata in molte perle) e dall’incontro con Stewart Copeland e Andy Summers.
Il 19 novembre esce “The Bridge”, il nuovo album di Sting che, dopo molti percorsi “alternativi” e poco “easy” per i suoi storici fan – ad esempio, la lunga ricerca musicale attorno al repertorio di John Dowland, compositore e liutista britannico del 1500. Il disco è stato anticipato da un singolo allegro e melodico, che però, conoscendo Sting, suona volutamente radiofonico e semplicistico. Solitamente, con lui il piatto forte arriva insieme a tutto il pranzo. Stavolta si tratta di un ritorno alle sonorità delle origini. Aspettatevi un gran bel regalo d’autunno.
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