Il piroscafo di Toscanini. Cent’anni dalla tournée del secolo
La fiamma del mito di Arturo Toscanini non cessa di ardere. Il grande direttore d’orchestra, le cui origini di famiglia sono piacentine, cent’anni fa intraprese la più lunga tournée della storia. Nella primavera del 1921, Toscanini tornò, insieme a un centinaio di musicisti, su un piroscafo partito da New York, reduce da 125 concerti in 237 giorni e da due traversate transoceaniche. Quell’avventura fu talmente straordinaria che Mario Balestrazzi gli ha dedicato un libro, presentato di recente al Ridotto dei Palco della Scala. S’intitola “La tournée del secolo” (Libreria Musicale Italiana, 371 pp, 32 euro). Ma l’aspetto straordinario non è solo legato all’ardua e trionfale operazione, per i tempi tutt’altro che semplice, bensì al suo risultato. Se infatti il 30 novembre 1920 salpò da Napoli quella che era ancora l’Orchestra Toscanini, il 18 aprile dell’anno seguente quella che rientrò nel porto partenopeo era, di fatto, l’Orchestra del Teatro alla Scala.
Finita la guerra, un po’ diversa da quella che stiamo vivendo oggi ma per certi versi affine, l’Italia pian piano risorgeva e gran parte del merito ce l’aveva la città di Milano. Lì c’era la Scala, anima che riuniva attorno a sé intellettuali e gente comune. Tutti, ossia quelli che avevano voce in capitolo o gli spazzini per strada intervistati dal Corriere della Sera di Luigi Albertini, non avevano dubbi su chi mettere al comando: Arturo Toscanini. La vita, anche privata, di Toscanini è stata oggetto di biografie, documentari e spettacoli. Parlare di Toscanini significa studiare musica, storia e geografia. Soprattutto, significa riconoscere la nostra identità. Quella che non ricordiamo più. Il suo carattere impetuoso, perfezionista, coraggioso, appassionato lo mise nei guai ma, di sicuro, rappresentava un ingrediente primario della sua atomica caratura musicale.
In questi giorni, nel corso di una puntata di “Nel mirino”, trasmissione di Telelibertà condotta dalla direttrice Nicoletta Bracchi e dedicata al tema del rilancio culturale e artistico della nostra città, mi sono un po’ “infiammata”. Non come Toscanini, ci mancherebbe, ma altrettanto spinta dalla passione per la musica. Ho spesso pensato, essendo Toscanini una figura altamente simbolica, che sfiora quella di Giuseppe Verdi pur senza aver composto opere, che a Piacenza si dovrebbe organizzare un Festival Toscanini. Una rassegna di incontri, eventi, mostre e concerti che ospiti al Municipale due o tre grandi direttori d’orchestra internazionali – Pappano, Dudamel, Harding… fate voi! In nome del grande maestro, che ha fatto la differenza (per loro e per noi), potrebbero dirigere un’orchestra, magari tutta piacentina (non lo scrivo per mero campanilismo ma perché so bene che Piacenza è culla di tanti ottimi musicisti). “I costi, Bagarotti, i costi”, mi sento dire. Si dà il caso che io conosca un organizzatore di Edimburgo che per vent’anni ha bussato e ribussato a tutte porte, spesso chiuse sul suo naso. Finché, un bel giorno, ce l’ha fatta. Chissà cosa penserebbe della mia fissazione, Arturo Toscanini, e chissà cosa ne penserebbe suo padre Claudio, nato a Cortemaggiore.
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