“Il tempo del sogno,” suona il de profundis per l’horror all’italiana
“Dellamorte” dell’horror italiano, “Dellamore” per l’horror italiano. Noi scherziamo con il titolo del cult movie di Michele Soavi, ma il regista Claudio Lattanzi e l’indagatore dell’incubo Davide Pulici no. Per gli autori del docufilm “Il tempo del sogno – Dream time” fu proprio la pellicola tratta dal romanzo di Tiziano Sclavi a chiudere il cerchio magico della paura tricolore nel 1994. «Io e Davide siamo stati molto chiari. La “golden age” che ha visto allo zenit le factory di Dario Argento, di Lucio Fulci e di Joe D’Amato non tornerà più», conferma Lattanzi.
Claudio, possiamo definire “Il tempo del sogno” monumento e pietra sepolcrale insieme?
«Negli anni ’80 fino ai primissimi anni ’90 il nostro cinema ha dato segnali di grande vitalità nel genere horror. Le pellicole si vendevano in tutto il mondo, ancor prima di essere girate. Bastava una brochure con un titolo ad effetto, un’immagine shock e due righe di sinossi. Poi, molto rapidamente, per un sacco di motivi che il mio film cerca di decifrare, l’incantesimo si è spezzato».
E dopo Soavi, il nulla. O quasi.
«Ci sarebbe “Mdc – Maschera di cera” di Sergio Stivaletti, uscito nel 1997, ma credo sia stato solo una ritorno di fiamma. Quindi sì, la fine di un’epoca coincide a mio avviso con “Dellamorte Dellamore” di Michele Soavi nel 1994 con gli zombi ormai più grotteschi che paurosi».
Proprio in quell’anno nasce “Nocturno Cinema”…
«Nel 1994 esce la rivista che mette al centro l’horror italiano con tutto il cinema di genere. Da questa curiosa coincidenza temporale è decollato il nostro progetto. Ero partito con l’idea di un documentario dedicato a Mario Bava, poi discutendo con Pulici abbiamo preso tutt’altra direzione. Una delle scommesse è stata quella di riuscire a mettere assieme tutti i testimoni. Ci abbiamo messo un paio d’anni, anche il Covid ha finito inevitabilmente per rallentarci. Per finire, abbiamo investito parecchio nella post produzione, nei laboratori di Cinecittà, lavorando soprattutto su colore e suono. C’è stata una cura oserei dire maniacale».
Il suo docufilm esplora sostanzialmente le tre correnti Argento-Fulci-D’Amato, evidenziando cesure e punti di contatto.
«È stata questa la sfida principale. Abbiamo avuto le produzioni di Argento, i film targati Fulvia di Fulci e la prolifica Filmirage di D’Amato concentrati in un decennio. Era il tempo del sogno. Poi è svanito tutto nel giro di tre, quattro anni».
Che cosa è successo?
«Una risposta sola non esiste. È cambiato il cinema, è mutato il sistema produttivo. Sono mancati i “maestri”, così come i tecnici. Non c’è stato ricambio. Oggi il cinema più che indipendente è amatoriale. Non basta prendere una videocamera o un cellulare per diventare registi. Non esiste più la tradizionale gavetta sui set e si vede: ogni tanto capita di incrociare un corto anche carino, con un’idea, però privo di tecnica, realizzato senza conoscere l’abc della macchina da presa».
Mi piange il cuore…
«A chi lo dice! Io l’ho vissuta realmente quell’epoca, così come Pulici, e spiace sia andata così. Un periodo che tutto il mondo ci ha invidiato. E copiato».
Pulici è fantastico quando entra in casa degli intervistati. Un moderno “Nosferatu” che invece del sangue vuole suggere la linfa vitale di quel cinema ormai scomparso…
«Ci siamo concessi un po’ di ironia e soprattutto abbiamo lavorato meticolosamente sul montaggio per evitare il rischio che il film finisse per somigliare a un lungo extra da dvd. Invece sono molto contento del risultato, le quasi due ore di film volano, ci sono testimonianze inedite e tra loro “incrociate”, mai a blocchi. Pulici è stato fondamentale, lui esplora questo mondo “nocturno” da 30 anni, conosce tutto e tutti, non potevo avere un miglior Caronte».
Per l’uscita home video de “Il tempo del sogno” siete andati sul sicuro con la label “Rustblade” di Stefano Rossello…
«Sono completamente soddisfatto della scelta. Stefano crede in quello che fa, mi sono trovato bene da subito. Con la “limited edition”, ad esempio, ha fatto una cosa fantastica. Di label ne conosco parecchie, “Rustblade” le batte tutte. Guardate il bluray: risplende l’ottimo lavoro garantito da Marco Testani, direttore della fotografia, da Tullio Arcangeli per l’audio e dall’editor Luigi Scarpa. Per molti mesi loro sono stati la mia “ciurma della malora”, bravissimi a sposare il progetto. E anche a sopportarmi. Dedico a tutti loro il “Vespertilio Award 2024” per il miglior documentario, appena vinto a Roma».
Lei è stato testimone diretto di quel periodo fantastico dell’horror italiano. Eppure nel film si è come messo da parte, preferendo lasciare spazio agli altri…
«Ho vissuto quell’epoca, eppure inizialmente non volevo essere nemmeno citato. Pulici mi ha convinto a raccontare almeno il periodo Filmirage. Per la mitica casa di produzione fondata da Joe D’Amato avevo esordito dietro la macchina da presa con “Killing birds” nel 1988».
I primi passi, la gavetta insomma, furono però nel segno di Argento e Soavi…
«Avevo incrociato da appassionato Dario ai tempi di “Tenebre”. Lavorava al doppiaggio di un anello di montaggio, assieme a Daria Nicolodi, all’International recording di Roma. Vedendo il mio slancio, Michele mi propose di diventare suo assistente alla regia per il documentario “Dario Argento’s world of horror” (1985). Poi ho seguito Soavi per “Deliria”, “La chiesa” e parte della preparazione del film “La setta”. Alla fine di quel decennio fantastico che furono gli anni ’80 lavorai pure alla versione televisiva de “Il mistero degli Etruschi”. Al cinema uscì come “Assassinio al cimitero etrusco”, in realtà era lo sceneggiato “Lo scorpione a due code”, un altro titolo ancora!».
Chi sono i protagonisti de “Il tempo del sogno”?
«I grandi nomi che hanno segnato quel periodo: Lamberto Bava, Michele Soavi, Luigi Cozzi, Claudio Simonetti, Fiore Argento, Fabio Frizzi, Sergio Stivaletti, Antonio Tentori, Silvia Collatina, Franco Ferrini, Marina Loi, Barbara Cupisti e Massimo Antonello Geleng».
Ha mai incrociato Fulci?
«Purtroppo no, ho lavorato come assistente volontario di Umberto Lenzi, a suo modo un estremista, ma Fulci in effetti mi manca».
È Silvia Collatina, la piccola Mae Freudstein di “Quella villa accanto al cimitero”, a traghettarci nel mondo del “maestro del gore”…
«Sono molto soddisfatto. Silvia ha portato un innegabile tocco di magìa. Mi piace quando gioca con la maschera di “Dèmoni” quasi a far incontrare il mondo di Fulci e quello di Bava/Argento».
Tra gli intervistati de “Il tempo del sogno” c’è qualcuno in particolare che l’ha stupita?
«Dopo un’intera mattinata di interviste, alla sera mi è squillato il telefono. Era Michele Soavi. E’ stato davvero carino, voleva farmi sapere che la nostra chiacchierata di qualche ora prima gli aveva messo una gran voglia di tornare a girare horror. Tra noi c’è sempre stato feeling, al suo cinema ho dedicato il documentario “Aquarius Visionarius”, nel 2018, apprezzato nei concorsi nei festival cinematografici in giro per il mondo».
Rustblade ha scelto bene pure i contenuti extra..
«Pulici è stato bravissimo e puntuale a ripercorrere la genesi del docufilm, mentre Federico Frusciante ha fatto un’analisi critica di cui condivido pure le virgole»
Pensa che “Il tempo del sogno” avrà un seguito?
«Ci sono tre ore di materiale sacrificato alla moviola. Non credo faremo “Il tempo del sogno 2”, ma con Pulici qualche idea ci sta balenando in testa. Chissà…».
di Michele Borghi
© Copyright 2024 Editoriale Libertà
NOTIZIE CORRELATE