In viaggio con Nastassja, tra i silenzi del Far West e le note di Ry Cooder

Kinski nel “celebre” maglioncino rosa shock

A 40 anni dalla Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1984 “Paris, Texas” di Wim Wenders, Paris, Texas, torna sul grande schermo grazie al progetto “Il Cinema Ritrovato” della Cineteca di Bologna e a CG Entertainment.
Con l’ultimo film del periodo americano, Wenders per la prima volta riesce a immergere sé stesso e lo spettatore nel paesaggio, quello del grande cinema, quello della Monument Valley e della metropoli, con un road movie struggente scritto assieme a Sam Shepard e a Kit Carson (nomen omen) interpretato da Harry Dean Stanton e Nastassja Kinski e accompagnato dalle tiratissime note della chitarra slide di Ry Cooder.
Dopo essere sparito per quattro anni, Travis riemerge nel deserto del Texas, collassa e viene portato in ospedale. Suo fratello Walt, che insieme alla moglie Anne nel frattempo si è occupato del nipote Hunter, lo porta a casa sua, a Los Angeles. Dopo aver lentamente ricostruito un rapporto con il figlio, Travis prova a riunire la famiglia andando a cercare la moglie Jane a Houston.
Una storia di quarant’anni fa che non potrebbe essere più contemporanea: “Paris, Texas” è pieno di scene rimaste stampate nella memoria del cinema, il volto di Travis nel deserto, Jane con i capelli biondi e il maglioncino rosa, il filmato in superotto di quando erano felici. Travis è un purissimo eroe western, che arriva dal nulla, compie la sua missione e si allontana. Travis è Shane ne Il cavaliere della valle solitaria, è Ethan Edwards in Sentieri Selvaggi. Soprattutto il film di Ford è una grande pietra di paragone qui, perché entrambi i protagonisti sono personaggi portatori della violenza del maschio: Ethan la sbandiera per tutto il film per poi arrivare a gestirla, Travis la nasconde anche a sé stesso, ma sa di cosa può essere capace.

I dialoghi al telefono tra Kinski e Dean Stanton

Entrambi concluderanno di non essere capaci di “stare”. Travis è sia il motore che il narratore della storia, la sua e la loro. Travis porta con sé una foto di Paris, Texas, un luogo simbolico per i suoi genitori, dove ha comprato un pezzo di terra immaginando di portarci un giorno Jane e Hunter: durante il viaggio comincia a emergere lentamente dal suo mutismo, a riconnettersi con il figlio e con il fratello, a recuperare la memoria della famiglia, per arrivare, attraverso l’incontro con Jane, a raccontare a noi cosa è successo, perché la famiglia si è spezzata.

Il nuovo manifesto creato per la riedizione del film

Tutto questo lungo percorso di ricostruzione e di comunicazione si muove stentato, mediato da foto, filmini, telefoni, registratori, walkie talkie, dalla cabina cieca del peepshow dove Jane si esibisce per gli uomini che pagano: Travis per lei è solo una voce senza volto, un uomo come tanti, finché il suo racconto gli restituisce un nome, e un passato che li lega. Paris è l’Europa, è Jane, il femminile. Texas è l’America, è Travis, il maschile. Lo scontro tra le culture e tra i generi, in quel luogo e in quel momento, non può funzionare. E tutte quelle parole che ha ritrovato gli fanno capire che per redimersi, per confessare e riparare al male che ha fatto, per sostituire quel male con del bene, l’unica cosa che può fare è andarsene, come un cowboy solitario in un viaggio infinito, che prosegue ben oltre la fine del film.

“Paris, Texas” sarà in programma al Jolly2 di San Nicolò il 4 novembre in versione originale sottotitolata e il 5 novembre in quella doppiata in italiano.

di Barbara Belzini

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